Piano Mattei?
Franklin Delano Roosevelt pensava di mettersi in proprio, dopo la fine del suo mandato come presidente degli Stati Uniti, come consulente dei paesi in via di sviluppo. Pensava di avere un “modello” da proporre a questi paesi, dopo l’esperienza compiuta con la TVA, Tennessee Valley Authority, e il New Deal.
Molti anni dopo, il suo omologo cinese Xi Jinping, si è proposto di assumere un ruolo analogo, convinto di avere un “modello” alternativo a quello americano, dopo l’esperienza compiuta con la manifattura del suo paese e con i sistemi infrastrutturali innovativi, tipo la diga delle Tre Gole, la Via della Seta, ecc.
A raccontare questa storia, con dovizia di particolari, è Giulio Boccaletti nel suo bel libro Acqua. Una Biografia, edito da Mondadori.
Perché ci interessa? Perché l’analisi di Boccaletti rappresenta un buon termine di paragone per misurare la proposta del “Piano Mattei”, recentemente avanzata da Giorgia Meloni: un modello di sviluppo per l’Africa.
È doveroso sottolineare che si tratta di un azzardo della Presidente del Consiglio, poiché non risulta che il nostro sistema paese sia impegnato in modo organico sulla frontiera meridionale dell’Europa, attraverso il coinvolgimento delle associazioni di categoria delle imprese, regioni, ministeri e agenzie di cooperazione.
Alcuni osservatori ipotizzano che, dietro il Piano Mattei, ci sia lo zampino opportunistico di Claudio Descalzi, amministratore delegato dell’ENI, con una lunga esperienza di collaborazione con i paesi africani produttori di gas e petrolio. Giorgia Meloni, che persegue la strategia del “non governo”, ha colto al balzo il suo suggerimento, per superare l’impasse della politica interna. In questo modo può far credere che, dopo l’accordo con Bajram Begaj, presidente dell’Albania, con l’evento “simpatia” a misura dei leader africani, può assicurare all’Italia forniture energetiche a basso costo e nuovi elementi di controllo dei flussi migratori.
Alcuni commentatori (come Federico Rampini e Romano Prodi), pur ritenendo fondamentale un’azione sull’Africa, magari concordata con le autorità europee, hanno messo in dubbio la solidità della proposta.
Qual è però il tema macroscopico, che tutti questi osservatori trascurano?
La mancanza di un “modello” di sviluppo credibile, agli occhi dell’élite africana oggi al potere, da parte dell’Italia e dell’Europa. Forse negli anni ’90, l’Italia dei distretti aveva a disposizione un progetto credibile, così come la Germania post-unificazione poteva esibire i vantaggi del modello renano. Ma l’Italia, la Germania e l’Europa non sono state capaci di trasformare le proprie esperienze di successo in un prodotto da esportazione. E oggi non hanno più niente da dire, perché non promettono un modello di relazione tra società e stato convincente per il Resto del Mondo.