Aumentano i posti di lavoro, ma non il PIL
L’occupazione cresce, anche in un anno di relativa flessione come il 2023. È una buona notizia, che tuttavia deve essere interpretata. Appena saranno disponibili dati di dettaglio, ad esempio sui settori di occupazione o sulla posizione nella professione dei nuovi assunti, sarà possibile esprimere giudizi circostanziati.
Per il momento è possibile fare tre considerazioni. Purtroppo non tutte positive, per aprire la discussione.
La prima riguarda il reddito medio pro-capite. Negli ultimi anni la traiettoria dei redditi nel nostro paese tende a divergere dalla media europea. Bruno Anastasia ha esplorato il problema in un suo contributo alla Rivista delle Politiche Sociali (1/2023 – Precarietà e bassi salari in un contesto di piena occupazione e di squilibri territoriali) e rinvio alle sue conclusioni sull’argomento.
Tuttavia mi sembra evidente che, se l’occupazione cresce in un anno di stagnazione, ciò significa che ciascun nuovo lavoratore deve accontentarsi di una fetta di torta più piccola. I dati possono essere discussi e contestati quanto di vuole, ma la matematica non è un’opinione.
La seconda considerazione riguarda la crescita dell’occupazione femminile. Il dato è interessante, perché l’Italia si posiziona, da sempre, tra le nazioni con una minore propensione al lavoro delle donne (per mille ragioni che non sto qui a discutere). Che i nuovi posti di lavoro coinvolgano in misura maggiore le donne è dunque una buona notizia. Tuttavia anche questo dato statistico può nascondere un aspetto negativo. Vale a dire che, in una fase di inflazione e riduzione dei redditi familiari (oltre che del risparmio disponibile), un maggior numero di donne sia “costretto” a entrare nel mercato del lavoro, per contribuire al mantenimento della famiglia.
L’analisi di dettaglio potrà fornire indicazioni precise, ma è anche possibile che, in assenza di alternative, dato che molti posti di lavoro sono vacanti a causa dell’inverno demografico e della riduzione dei flussi di immigrazione, l’assunzione di una parte dell’esercito di riserva (costituito dalle forze di lavoro femminili) costituisca una soluzione interessante per molte imprese. Il dato è ambivalente.
La terza considerazione riguarda la durata dei contratti. Dalle informazioni disponibili sembra che i nuovi occupati (e occupate) siano assunti con contratti a tempo indeterminato. La notizia è accolta con entusiasmo dai commentatori che vogliono a tutti i costi vedere il lato positivo della questione. Tuttavia va ricordato (come fa Bruno Anastasia nel contributo sopra citato) che oggi il mercato del lavoro italiano è estremamente flessibile e l’assunzione a tempo indeterminato non costituisce più, di per sé, una garanzia di stabilità del lavoro.
In conclusione, prima di festeggiare è forse opportuno inserire le notizie relative al mercato del lavoro nel contesto di un sistema paese che è fermo.