Rompicapo Nordest
La voce del Nordest è ancora debole e fatica a farsi sentire a livello nazionale. Nonostante la calma olimpica di Luca Zaia, il 2024 si preannuncia come un anno di svolta, per quello che ambisce a essere un laboratorio di innovazione per il sistema paese. Al momento, assomiglia più a un ginepraio che a un laboratorio ordinato.
Per capire la portata della questione bisogna tessere il filo dei rapporti tra quadro locale e nazionale.
Il governo di centro-destra è l’ultima spiaggia per gli italiani, che, nello spasmodico tentativo di allontanare l’amaro calice del default, saltellano da un voto all’altro con inconsueta agilità. Il governo attuale è saldamente in mano a una “famiglia romana” (il nocciolo duro di Fratelli d’Italia), che non ama l’autonomia e punta apertamente a far fuori i secessionisti del nord. Tuttavia è minacciato ogni giorno dal “disobbediente” Salvini e ne tiene conto (vedi l’editoriale di Antonio Polito sul Corriere della Sera di sabato 6 gennaio 2024).
A meno che non si creda che Calderoli rappresenti una figura analoga a Churchill o Roosevelt, e sappia costruire una sorta di New Deal nazionale, dopo i tanti fallimenti passati, le sorti del federalismo sono segnate, così come il ruolo dei leader leghisti in Lombardia, Veneto e Friuli.
Questi leader hanno costruito un sistema di potere robusto, come quello democristiano. Hanno realizzato infrastrutture di servizio, in linea con le richieste delle associazioni imprenditoriali. E hanno gestito in modo lodevole la sanità. Tuttavia non hanno saputo innovare il sistema amministrativo, sviluppando strutture e istituzioni migliori di quelle centrali.
La situazione Trentina è un’eccezione che conferma la regola.
La confusione che regna in Veneto costituisce, in questo quadro generale, un chiaro indizio di fine partita e le tensioni emergenti all’interno della maggioranza ne sono una conseguenza coerente.
Da un lato ci sono gli epigoni della fronda secessionista, nessuno dei quali riesce tuttavia a superare il maestro (il Napoleone del Prosecco, come dice un mio amico competente in materia). La logica interna alla Lega, da sempre, privilegia la figura del capo, sotto la quale crescono solo cespugli. Dall’altro lato ci sono gli esclusi (ricompattati oggi da Tosi, l’espulso, all’interno di Forza Italia). Infine ci sono i miracolati di Fratelli d’Italia che, pur costretti a subire i dictat di Roma (come Urso candidato alla regione), imparano a far surf sull’onda meloniana, e guadagnano posti e prebende.
Cosa pensano di questa situazione i padroni del vapore?
Difficile dirlo, proprio perché la Voce del Nordest è temporaneamente afona. Da un lato la classe dirigente economica si è ricompattata attorno a Zaia, per ragioni di interesse. Dall’altro lato deve a stare al gioco della Meloni, non potendo appoggiare Salvini. Non disponendo di cavalli di razza, alternativi a quelli sul campo, e non avendo una strategia, non può che rimanere alla finestra.
E la sinistra?
La sinistra latita come al solito, nei banchi di palazzo Ferro Fini e nelle amministrazioni delle città chiave (Vicenza, Padova e Verona). Il segretario Martella dichiara che voterà contro (contro il governo e contro l’autonomia) e non ci pensa proprio a elaborare un programma adeguato alla fase. Tale programma non può che essere federalista, ma, dopo la fuga di Rubinato e l’arrivo di Schlein, non c’è nessuno che lo proponga.
In conclusione, il 2024 presenta ai nordestini un bel rompicapo. Come in molte aziende di territorio, il passaggio generazionale si mescola alla scomparsa dei fondatori. In assenza di strategie chiare e di nuovi protagonisti, la situazione resta sospesa. E non essendoci un Marchionne “esterno”, capace di sparigliare le carte, la guerra di successione diventa ogni giorno più incerta e cruenta.
Ai cronisti di territorio non resta altro da fare che immergersi nella palude, alla ricerca di indizi di innovazione, di gruppi sociali emergenti, di coalizioni trasversali sommerse. Nella fase di transizione dall’industria al terziario, “qualcosa” si muove a Nordest, sotto il pelo dell’acqua, ma non è in grado di emergere e darsi una rappresentanza. È a questo “qualcosa” che il cronista attento deve prestare attenzione.