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22 Dicembre 2023 ~ 0 Comments

Il default vien di notte…

Chissà perché mi sono svegliato oggi con questa canzoncina in testa. Forse perché siamo a Natale o perché penso alla Befana 2024. 

Cosa ci porterà l’anno nuovo? Dolcetti o … carbone?

È il ritorno di un Governo “politico” che mi spaventa. Più di ogni altra considerazione inconscia. E un Parlamento “irresponsabile”, accomunato dalla pervicace volontà di rappresentare gli italiani che non vogliono farsi carico del debito accumulato. Come fosse un problema di qualcun altro. Dei comunisti o dei nipoti.

È il fantasma di Javier Milei che fa riaffiorare nella memoria i prodromi del default argentino, di cui sono stato testimone oculare nel 2001.

A stare a sentire la propaganda del governo, nel 2024 ci saranno soltanto dolcetti a gogò. La pacchia è appena cominciata. Aumentano gli occupati, non c’è mai stata tanta liquidità in circolazione, siamo i padroni d’Europa… Come ai tempi di Craxi e della Milano da bere, quando abbiamo spezzato le reni all’Inghilterra.

Forse è per quello che sono sospettoso. L’eccesso di ottimismo mi puzza di fake.

Il default è dietro l’angolo? Non lo sappiamo. Ma, se mai arriverà, ci coglierà di sorpresa, come l’8 settembre del ’43 e, più recentemente, il 10 luglio del ’92. Perché vogliamo a tutti i costi fidarci dei leader nazionali che raccontano frottole al popolo e a sé stessi. Siamo fatti così. Vogliamo essere ottimisti senza giustificazione. Siamo irresponsabili, furbi. Pensiamo che, una volta risolti i nostri problemi personali, familiari, tutto il resto si aggiusti, senza toccarci. Altro che tedeschi e giapponesi, che sono sempre là a fare le formichine.

Ma, lasciamo stare i tedeschi, per un attimo, le loro attitudini partecipative, la capacità di programmazione e l’ordoliberalismo. Pensiamo invece ai giapponesi. In fondo sono stati anche loro parte dell’Asse, che coltivava a suo tempo l’ambizione di comandare il mondo.

Loro sì, che si sono organizzati in coorti, per spezzare le reni agli americani, dopo la guerra. Si sono aggregati in keiretsu, hanno inventato il MITI e le grandi sōgō shōsha. E così, piano piano, non solo sono riusciti a comprarsi il Rockefeller Center di New York (fatto simbolico capace di compensare le bombe di Hiroshima e Nagasaki), ma anche a espellere gli americani dal settore automotive (fino alla Tesla) e a primeggiare nella produzione di aggeggi elettronici (fino alla riscossa di Apple e Google con i telefonini).

Si sono presi delle belle soddisfazioni, i giapponesi, prima di scontare il declino. E anche dopo, quando, dalla metà degli anni ’90 in poi, non hanno più superato la soglia dello “zero virgola” di PIL annuale e hanno accumulato il più grande debito pubblico del mondo. Sono rimasti uniti, come popolo, solidali nella gestione dei servizi sociali e del risparmio privato, fidandosi delle grandi banche nazionali e delle grandi imprese (public). In onore dell’imperatore. Sono declinati crescendo, come diceva il nostro amico Bruno Manghi.

Noi italiani, invece, abbiamo scelto un’altra strada. Perché, dal punto di vista culturale e forse antropologico, siamo più prossimi agli argentini e ai trumpiani, che ai giapponesi. Siamo intimamente anarchici individualisti, come i greci. Radicalmente occidentali, fanatici dell’individuo.

E stiamo arrivando al declino in ordine sparso, sans-souci. Perché non siamo un popolo solidale, ma una federazione di individui. Neanche una federazione di municipi come ai tempi di Dante. Le nostre comunità locali sono ancora oggi regolarmente divise tra guelfi e ghibellini, ma soffrono tutte della medesima ideologia (liberista?), che contrappone l’interesse individuale alla cosa comune.

E, paradossalmente, proprio la destra sociale, un tempo attaccata alle glorie dell’impero, ma soprattutto alla solidarietà sovranista delle comunità locali, ha consolidato in tempi recenti un’ideologia dell’individuo (solo contro tutti, addirittura contro lo Stato) che supera il modello romantico e plutocratico di Robinson Crusoe.

I pochi italiani che si danno da fare per la nazione, non solo vengono pubblicamente derisi, ma anche guardati con sospetto. E non tanto perché si rifiutano di schierarsi con una fazione o con l’altra, ma, peggio ancora, perché non fanno i cazzi propri. E non sono credibili, agli occhi del popolo, proprio perché si sottraggono il ruolo del “più furbo di tutti”. 

In un paese dominato dagli individui, gli unici leader che acquistano credibilità, sono quelli che cantano fuori dal coro. Vedi Fedez e Ferragni. Invidiati dalla Meloni (che idolatra Elon Musk) e da Marco Travaglio (che li detesta) (sic! vedi la puntata di Otto e Mezzo, su La 7, di lunedì 18 dicembre 2023), perché capaci, i due milanesi, di accumulare una fortuna senza fare una mazza.

Elon Musk o Donald Trump o Silvio Berlusconi sono venerati come campioni di pirateria, e Matteo Salvini e Giorgia Meloni (con il loro codazzo di influencer, amici e parenti) ne richiamano il mito alle adunate di destra. Tony Blair, Matteo Renzi e Romano Prodi sono venerati come campioni di counselling, perché primi della classe nella gestione della propria reputazione personale e del patrimonio accumulato grazie al ruolo ricoperto nelle istituzioni. Elly Schlein e Massimo Giannini ne richiamano il mito nelle assemblee di sinistra.

In questo contesto, all’interno del quale raggiungono vette di massimo disprezzo Mario Monti, Mario Draghi, Elsa Fornero e molti altri fanti da trincea, la prospettiva del default, inatteso, è l’unica ragionevole.

Il popolo italiano, distratto dalle furbizie quotidiane, dalla lotta per la sopravvivenza in un contesto men che solidale, stanco di vivere in condomini anonimi, che ha scambiato per modernismo le deportazioni di massa di contadini e montanari, che un tempo vivevano in libere comunità, nelle banlieue delle città, non è più nemmeno in grado di pensare al futuro. Ha tutta la vita “sociale” alle spalle e non vede altro che quella “individuale/solitaria” davanti. 

Non crede più (ecco la vera crisi dei partiti e delle ideologie novecentesche) che la fazione cui appartiene possa risolvere il problema del debito. Spera solo che tenga lontano lo Stato dalle sue tasche personali, che faccia pagare ad altri il conto che inesorabilmente arriva.

Ed è per questo che la politica si divide oggi tra protettori dei piccoli bottegai (Lega e FdI), protettori dei sommersi meridionali (5 Stelle) e protettori del ceto medio impoverito centro-settentrionale (PD). 

È una politica disillusa, che si limita a rassicurare la propria constituency, fottendosene del bene comune (che non riconosce) e promettendo che il conto lo pagherà qualcun altro.

Per questo l’Italia è un paese pre-destinato a risvegliarsi di colpo, con grande (finta) sorpresa, e in braghe di tela. Alla campana del futuro emulo di Giuliano Amato, chiunque esso sia, costretto a bloccare i conti correnti, in una notte, come Alexīs Tsipras il 28 giugno 2015. Come Milei…

Oggi questa prospettiva è più realistica, dopo la bocciatura del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) nuova versione. Al governo ci stanno Bibì e Bibò. Presunti economisti della Lega (a loro dire non ideologici). Inaffidabili ai tempi del Conte 1. Inaffidabili oggi come, altrove e in altri contesti, Domingo Cavallo e Gianīs Varoufakīs.

Il default vien di notte…

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