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02 Ottobre 2023 ~ 0 Comments

Paola Egonu e la nazionale di volley che non sorride più

Non bisogna essere allenatori professionisti per sapere che, nella pallavolo, il 50% del successo dipende dalla condizione psicologica degli atleti e dall’empatia che si stabilisce tra loro e il pubblico degli spettatori e degli appassionati. 

I volti, i sorrisi, gli sguardi di intesa, gli abbracci sono una cartina di tornasole dell’armonia del gruppo sul campo e della reattività dei singoli giocatori. Questo vale in particolare nei campionati femminili, nei quali la squadra in campo fatica a isolarsi dal contesto. Lo abbiamo imparato, quando Myriam Sylla, Paola Egonu e compagne, ci ha fatto sognare ai mondiali e alle olimpiadi. 

Ragazze! Mi pare che abbiamo perso la capacità di divertirci…”, diceva Mazzanti nei time-out, per ricollocare l’umore delle atlete al livello giusto. E gli applausi del pubblico facevano il resto. Lo si vedeva dagli occhi e dalle pieghe della bocca di Cristina Chirichella e Moki De Gennaro. Il messaggio arrivava a destinazione, nel cuore e nel cervello delle atlete, e il punteggio risaliva.

Poi magari abbiamo perso, contro nazionali oggettivamente più forti della nostra. Ma sempre con il sorriso sulle labbra e in piena sintonia. 

Da un po’ di tempo quel sorriso si è spento. Paola Egonu si è stufata di sentirsi trattata da italiana di Serie B, dei risolini impertinenti, delle battute sotto traccia. Ha perso la pazienza, la gioia di giocare, la fiducia nel futuro, e si è messa in panchina.

Fummo facili profeti, nel 2016, commentando le Olimpiadi di Rio. La nostra catapulta, all’epoca giovanissima, stava sbocciando. “Non dura” abbiamo pensato “Prima o dopo il bullismo nazionale romperà l’incantesimo e brucerà l’entusiasmo della nostra campionessa”.

Ci sono voluti sette anni, ma, alla fine, i problemi sono arrivati. I cattivi, i bulli hanno vinto. Il cortocircuito intellettuale ha fatto saltare il banco. Guarda caso, durante la sfida con la Turchia di Santarelli. Stavamo vincendo. Eppure Vargas ha trovato il varco giusto, proprio quando il sorriso delle nostre schiacciatrici si è spento, quando il muro ha cessato di essere intuitivo, quando lo spirito di squadra è finito sotto i tacchi. E poi la Polonia. 

Il non detto, l’incoerenza narrativa, goccia dopo goccia, ha bucato la superficie della squadra e le nostre atlete ci son cascate dentro. Forse hanno avuto un ruolo questioni di carattere. Ma una parte importante l’ha giocata anche la falsa coscienza nazionale che, nel buio dei social, ma non solo, ha inciampato rovinosamente nel cortocircuito che esiste tra inflessioni dialettali delle atlete e colore della pelle.

Adesso Julio Velasco (o chi per lui) dovrà ricostruire sulle macerie. Ma il futuro della nazionale non dipenderà soltanto dal clima interno allo spogliatoio. Dovrà passare dagli spalti e dalle palestre di periferia. Dalle mura di Cittadella.

© Quotidiani Gruppo GEDI Nordest (2 ottobre 2023)

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