An underdog unfit to rule
Gli statisti comunicano con i fatti, oltre che con il «physique du rôle». Aldo Moro stava in giacca e cravatta al mare. Zelensky in tuta militare.
Ernesto Galli Della Loggia sottolinea questo aspetto in un recente editoriale del Corriere della Sera, che non è piaciuto a Giorgia Meloni.
Professore di storia, studioso dei leader che si sono trovati a gestire passaggi chiave nella vita del Paese, non è riuscito a trattenersi.
Meloni, a suo avviso, non ha capito la pesante responsabilità che il caso le ha messo tra le mani: chiudere con la Storia del ‘900; aprire una nuova fase di confronto tra destra e sinistra nel Paese; costruire un governo di transizione, politico quanto si vuole, ma altrettanto efficace di quello temporaneamente guidato da Cincinnato Draghi.
L’Italia è un grande paese, fondatore dell’Europa, e deve fare la sua parte. Siamo al passaggio chiave dalla globalizzazione a guida occidentale a una fase di confronto aperto tra potenze ispirate a culture e modelli di governance alternativi a quelli egemoni fino al 2008 (primo G20 dei capi di stato, tanto per capirci). Zelensky, l’attore, lo ha capito. Giorgia Meloni no.
Nello stesso giorno in cui Della Loggia pubblicava le sue riflessioni, sui quotidiani nazionali apparivano le foto di Giorgia, al Columbus Circle, insieme a un gruppo di italo-americani, che l’hanno poi accompagnata a una cena di famiglia, da turista, più che da statista.
È un fatto. Comunica l’immagine di una Presidente, umana quanto si vuole, mamma quanto si vuole, ma inadeguata al compito. Ha fatto bene a snobbare i pranzi e le cene ufficiali, per rimarcare la distanza dell’Italia dalle conventicole dei poteri forti. Ma avrebbe dovuto partecipare a riunioni alternative con i leader africani, per discutere del “Piano Mattei” o di nuove soluzioni al dramma delle migrazioni. Non a una cena di famiglia, da turista. È un fatto, purtroppo. Che definisce la statura della persona che la sorte ha chiamato a interpretare il sentiment nazionale in una fase critica per la storia del Paese. E, a notarlo, non sono gli strilloni della sinistra, alla ricerca di visibilità. Ma pezzi da novanta dell’establishment.
Meloni appartiene alla nuova generazione. Non ha vissuto i conflitti del secolo scorso e i postumi della guerra civile. Si è data da fare per rottamare la vecchia classe dirigente della destra e anche il linguaggio e la muffa del secolo passato. Ha ottenuto consenso anche in ragione del percorso intrapreso con Atreju, ma soprattutto perché ha acceso la speranza, come Renzi a suo tempo, di voltare pagina.
Deve, purtroppo per lei, mantenere uno standing e una presenza scenica adeguata al ruolo. Non può far passi falsi. Non può finire sulla copertina di riviste e giornali, nazionali e internazionali, con didascalie del tipo: an underdog unfit to rule.
© Quotidiani Gruppo GEDI Nordest (25 settembre 2023)