Un patto di produttività per far crescere il valore aggiunto pro-capite
In questi giorni sentiamo parlare di salari troppo bassi e prezzi che riducono il potere di acquisto delle famiglie. Alcuni agitano il timore di una recessione indotta dalla politica restrittiva della BCE. E tutto questo contrasta con l’idea che la nostra sia una grande economia, che cresce più della media europea e non ha rivali sui mercati internazionali.
Forse è meglio cercare di spiegare queste apparenti contraddizioni.
La prima è quella che riguarda la presunta forza del nostro sistema economico, che non si traduce però in livelli salariali sufficienti. I dati sulla crescita del PIL nel suo complesso e sull’occupazione sono certamente confortanti, ma dobbiamo calcolare qual è il valore aggiunto (il PIL) pro-capite, non il montante complessivo. Altrimenti non capiamo perché l’andamento dei salari italiani sia il peggiore tra i paesi europei, Grecia inclusa, da vent’anni a questa parte.
Come spiegare questa contraddizione? Il problema è la dinamica della produttività, del valore aggiunto pro-capite o per ora lavorata, che non cresce da tempo immemorabile. Produciamo di più, nella manifattura e nei servizi, grazie alla domanda sostenuta dalle autorità europee, ma non riusciamo farci pagare a sufficienza le ore lavorate. La riduzione del cuneo fiscale, non può far nulla su questo fronte. Così come la proposta del salario minimo.
La seconda contraddizione riguarda la liquidità e il tasso di inflazione. Le misure di politica economica adottate dalla BCE, per ridurre gli effetti recessivi del Covid e della guerra in Ucraina, sommate alla crisi di alcuni mercati, come quello dell’energia, hanno concorso alla crescita dei prezzi. Questo è accaduto perchè la domanda artificiale si è scontrata con una capacità produttiva ridotta. E lo squilibrio generato per salvare imprese e cittadini viene oggi combattuto assorbendo liquidità, aumentando i tassi di interesse. L’Italia è il paese europeo più sensibile a questo tipo di misura, perché vive di debito. Ma non può continuare a rassicurare i creditori, senza mettere in campo una capacità produttiva diversa da quella attuale.
Come si costruisce questo passaggio? Attraverso un patto di produttività, che coinvolga le parti sociali a livello di impresa. Se si vuole un costo orario più alto, bisogna trovare il modo di aumentare il valore aggiunto per ora lavorata.
Non si scappa. E non basta, questa volta, un accordo nazionale, politico, come quello siglato il 23 luglio del 1993. Serve un insieme articolato di azioni imprenditoriali, e partecipative, che costringano le parti sociali a fare i conti con il mondo reale, nei luoghi di lavoro.
Più il tempo passa e peggio è. E il tempo, purtroppo, passerà, perché maggioranza e opposizione sono convinte che il PNRR basti e avanzi, anche se non incide per nulla su produttività e valore prodotto pro-capite.
© Quotidiani Gruppo GEDI Nordest (29 luglio 2023)