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19 Dicembre 2022 ~ 0 Comments

Un’agricoltura per l’acqua

La pioggia è finalmente arrivata. E anche la neve. Portano via le polveri sottili e ricaricano il serbatoio pedemontano, che costituisce la vera riserva di oro blu della regione. Il 2022 si chiude, tuttavia, come l’anno più siccitoso dell’ultimo quarto di secolo, lasciando aperto il problema della lotta ai cambiamenti climatici e all’emergenza idrica in Veneto.

Il direttore di ANBI (Consorzi di Bonifica) ha così commentato una foto aerea della fascia pedemontana a luglio: “Ci sono due modi per leggere le sfumature di giallo del 2022; come l’anno più caldo degli ultimi trent’anni oppure il più fresco dei prossimi trenta.

Gli esperti sono ormai tutti d’accordo. I cambiamenti climatici vanno affrontati, attraverso una nuova “agricoltura per l’acqua”. Dobbiamo imparare a coltivare le precipitazioni, sempre più scarse, per mantenere alto il livello del serbatoio. I dati relativi allo stato delle falde parlano da soli. Negli ultimi vent’anni, complice l’assenza di neve, la penuria di bacini in quota e i mancati interventi sulle dispersioni, le nostre riserve si sono abbassate al di sotto dei livelli di guardia. 

Ed è sbagliato derubricare la questione come evento eccezionale di un anno. Titoli giornalistici del tipo “serve acqua per l’agricoltura” non vanno bene. Bisogna insistere, invece, sull’idea opposta. L’acqua deve essere coltivata, perché non basta qualche settimana di pioggia per tornare a riempire il serbatoio. Servono specifici interventi di forestazione, gestione dei prati, dei fossi e delle rogge, nel medio-lungo periodo. 

Progetti sperimentali di Veneto Agricoltura certificano che nuove attività come le AFI (Aree Forestali di Infiltrazione) possono accumulare fino a un milione di metri cubi per ettaro/anno. Bisogna però trovare il modo di renderle convenienti, come la coltivazione del mais o dei vigneti di Glera.

Per far fronte ai cambiamenti climatici bisogna organizzare un sistema di mercato, che assicuri la ricarica “artificiale” delle falde, facendo appello al contributo dei tanti utilizzatori a valle delle risorgive. Finora non era necessario. I pozzi artesiani, per usi agricoli e industriali, potevano rimanere aperti e senza controlli. Oggi, invece, bisogna investire sulla ricarica, canalizzare i flussi, sempre più erratici, e far pagare i prelievi. 

Non c’è un Magistrato delle Acque, che possa decidere per conto di tutti. E allora bisogna agire sui luoghi comuni, su una diversa distribuzione dei costi e delle procedure di governance, costruire un patto virtuoso tra “terre alte” e “terre basse” della nostra regione.

La Politica (quella con la “P” maiuscola) può affrontare il problema e varare un tempestivo riordino di funzioni, che sono oggi distribuite tra una pluralità di enti che non si coordinano. Non serve l’autonomia per farlo e non servono soldi. Basta non perdere tempo.

© Quotidiani Gruppo GEDI Nordest (19 Dicembre 2022)

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