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07 Novembre 2022 ~ 0 Comments

Il “bilancio strutturale” del Nordest italiano (2022)

MDA

L’economia di guerra introduce elementi di incertezza tali, che risulta oggettivamente difficile avanzare ipotesi sullo scenario economico futuro. Gli analisti scommettono su una recessione nel 2023, ma interventi governativi (analoghi a quelli assunti durante il Covid) sono ancora possibili. Meglio dunque fermare l’attenzione sul bilancio “strutturale” dell’economia nordestina, riprendendo temi già evidenziati dalle autorità regionali, nei documenti di programmazione 2021-27, e dalla Fondazione Nordest.

Consideriamo innanzitutto gli elementi di continuità, i punti di forza del sistema, in linea con il suo carattere distintivo.

  • La chiusura del mercato russo, nonostante l’impatto devastante che sta producendo sui costi dell’energia, sollecita processi importanti di ristrutturazione. L’Europa vuole rimanere leader nella produzione di impianti e nella gestione sostenibile delle infrastrutture. Può cogliere la stangata energetica come opportunità per accelerare gli investimenti sulla transizione ecologica. Il Nordest italiano, sia per le competenze accumulate negli ultimi quarant’anni, sia per processi di re-shoring derivati dall’incertezza delle filiere orientali, potrebbe avvantaggiarsi di questa situazione.
  • La crescita record delle esportazioni, avvenuta nel periodo 2020 e 2021, testimonia una domanda di prodotti qualificati e di impianti di produzione, che si rivolge soprattutto ai distretti e alle medio-grandi imprese del nostro territorio, come rifugio dall’incertezza. Questo fenomeno sta creando tensioni sui mercati dei beni intermedi (componenti che mancano e materie prime in rialzo), ma potrebbe risolversi nel corso del tempo, soprattutto se la Cina non segue la Russia nelle politiche distruttive del commercio mondiale. Le politiche europee possono portare altri interventi straordinari sulla costruzione di nuove filiere, nuovi prodotti e nuovi processi. Ad esempio nel campo della mobilità.
  • Il nuovo “cuore manifatturiero” europeo (costruito attorno all’industria dell’auto a trazione endotermica nell’area di Visegrad) corre rischi superiori a quelli del Nordest italiano, per la vicinanza al fronte, per i cambiamenti in corso nelle politiche di sviluppo continentali, per il raggiungimento di standard salariali e di produttività che impediscono ulteriori exploit. Infine, l’intensità degli scambi avviati lungo il Corridoio 5, proprio tra Nordest italiano e Nordest europeo (vedi quanto accade sulla Venezia-Trieste più SPV e nei porti dell’Alto Adriatico) sembra preludere a un’integrazione virtuosa.

Consideriamo adesso gli elementi di discontinuità, i punti di debolezza del sistema regionale e la sua progressiva perdita di identità.

  • Il Nordest italiano, per la scarsa propensione a integrare tra loro conoscenze scientifiche e processi di apprendimento in azienda, rischia di reagire troppo lentamente ai nuovi flussi di domanda, nonostante l’appeal acquisito come fornitore manifatturiero globale. La tensione esistente sul mercato del lavoro, con i giovani sempre meno interessati alle carriere tecniche nell’industria, riduce il potenziale di crescita dei distretti e delle grandi imprese orientate all’export. D’altro canto le tensioni crescenti sui mercati dei componenti e nell’energia riduce il margine di manovra per i produttori “price taker”, che non riescono a ribaltare l’inflazione sui prezzi.
  • La concentrazione delle esportazioni verso il mercato interno UE (registratasi dopo la crisi 2009-2014) può essere interpretata come un segnale di debolezza. È vero, infatti, che l’integrazione europea passa necessariamente attraverso la “devoluzione” di poteri e responsabilità a capofila collocati anche al di fuori del territorio italiano, ma l’effetto “dipendenza” potrebbe essere negativo (come l’uscita di FIAT ha dimostrato). Le frequenti acquisizioni di medie imprese distrettuali, da parte di fondi di private equity, non corrispondono sempre a flussi di investimento sulla capacità produttiva.
  • Al progressivo declino dell’occupazione manifatturiera, a fronte di una forte crescita delle attività di servizio, non corrisponde un rafforzamento della complessità industriale, verso un maggiore contenuto di conoscenza distribuito nel territorio. I nuovi servizi sono spesso soluzioni di “ripiego”, che allontanano gli investimenti dal principale settore economico della regione. L’insistenza delle politiche pubbliche sullo sviluppo turistico, sulle produzioni alimentari locali (vinicole in particolare) e l’attenzione dedicata a grandi eventi, come le Olimpiadi invernali, incentivano processi di “consumo” del patrimonio ereditato dal territorio, piuttosto che processi di “accumulazione” di una nuova futura identità.

A fine 2022 il bilancio strutturale del sistema è ancora in pareggio. Tuttavia manca una Politica regionale (con la “P” maiuscola) che proponga una nuova narrazione e un’agenda comune, pubblico-privato e industria-servizi. 

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