Voto populista: crisi dell’élite e della classe creativa
Le elezioni politiche del 25 settembre 2022 offrono un risultato in linea con quello del 2018. Gli italiani si sono schierati a favore dei partiti populisti. Le cose non vanno bene nel paese e il popolo ritiene che la colpa vada attribuita all’élite. E l’élite è, per definizione, la casta dei professori e dei banchieri che hanno tenuto le redini del sistema fino a oggi.
Il reddito pro-capite stagna da oltre vent’anni, i servizi sono sempre gli stessi, il conto previdenziale sempre più difficile da gestire, nonostante i bassi livelli delle pensioni effettivamente distribuite ai cittadini. La colpa è di Ciampi, Monti, Fornero e Draghi. Tutti economisti in odore di sinistra e con deprecabili simpatie europee.
La sensazione di malessere è molto diffusa nel Mezzogiorno, ormai privo di qualsiasi prospettiva di integrazione nel contesto europeo. Fatte salve le aree metropolitane (Roma inclusa), nelle quali la potenza dell’élite continua ad attirare risorse sufficienti alla stabilità sociale, nel resto del Paese l’incertezza regna sovrana. Al Nord cala la ricchezza prodotta dalle piccole imprese e la terziarizzazione dell’economia (l’ascesa della classe creativa) si accompagna a un vistoso rallentamento nei processi di accumulazione.
Al Sud prevale lo strato sociale della “neo-plebe” (secondo Paolo Perulli e Luciano Vettoretto, Neo-Plebe, classe creativa ed elite, Laterza, 2022), mentre al Nord il ceto medio tradizionale non trova l’accordo con i giovani scolarizzati.
In questo contesto, una quota elevata della popolazione si ritrova in condizioni di latente declino e vive l’incertezza come responsabilità dei governanti. Perde fiducia nelle istituzioni e diffida della classe dirigente “accreditata” (nazionale o europea che sia).
L’analisi del voto è presto fatta. Un terzo dell’elettorato si astiene. Non si riconosce più in alcuna forza politica, non va a votare a favore di un partito o di una coalizione e non crede più a nulla. Un terzo va a votare a favore di una coalizione, secondo lo spirito della Seconda Repubblica, distribuendo il consenso tra le forze politiche disponibili. Di fronte a organizzazioni elettorali, più che forze politiche strutturate, il voto di questo terzo viene dato sempre meno per convinzione e più per simpatia. Un terzo va a votare, invece, contro il sistema, attaccandosi, all’appeal anti-politico dei leader populisti più gettonati del momento: oggi Meloni e Conte, ieri Salvini e Berlusconi.
Insomma, la politica italiana (intesa come arte del governo) resta in bilico, quali che siano le scelte operative dei governi di centrodestra, di centrosinistra e anche di unità nazionale. Élite e classe creativa devono riflettere seriamente sulla propria incapacità di rappresentare il paese, se vogliono tornare ad avere un ruolo nella società e nell’economia.
© Quotidiani Gruppo GEDI Nordest (9 ottobre 2022)
usato così il termine populista mi sembra una prigione allo sviluppo del pensiero; perché i voti populisti non possono rappresentare anche loro interessi, idee, speranze?
Il problema non sono gli interessi e le strutture di rappresentanza. Il problema è che manca una strategia di governo che consenta agli italiani, soprattutto poveri, di uscire dalla stagnazione e dai debiti. Il populismo è una prigione, perché alimenta speranze che vengono sistematicamente deluse.