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03 Ottobre 2022 ~ 0 Comments

La “parabola” di Lula

MDA

Ancora una volta candidato popolare, Lula contende la leadership al candidato populista Bolsonaro. Il Brasile, tuttavia, non sa dove andare. 

Ai tempi della prima elezione di Lula, nel 2002, il Brasile si trovava in una fase di prorompente sviluppo. Dopo l’iperinflazione dell’89, complice l’incompetenza di Fernando Collor de Mello, Fernando Henrique Cardoso era riuscito a stabilizzare il corso del Real e ad avviare una fase di crescita, sempre meno dipendente dalle istituzioni burocratiche dello Stato “getuliano”, che prometteva al paese un posto al sole tra i Brics emergenti.

Lula, riferimento ideale del World Social Forum 2001, schierato apertamente contro la deriva neo-liberale del Consenso di Washington, responsabile del default argentino, si proponeva come paladino di un capitalismo popolare, partecipativo, innovativo, filo-italiano, capace di riscattare dalla miseria non solo il proprio paese, ma buona parte dell’America Latina. 

Figlio di contadini poveri, Ignacio Silva, detto Lula, è stato sindacalista a San Paolo e primo presidente brasiliano a convocare una seduta del governo in una favela. Ha rappresentato la speranza di cambiamento di milioni di attivisti No Global. E tuttavia ha fallito il proprio obiettivo. Ha fatto molto, con programmi come Fome Zero e Bolsa Familia, ma non è riuscito a costruire il modello economico e sociale innovativo di cui parlava nel World Social Forum, con il piglio dell’evangelista globale. 

Oggi rappresenta solo un usato sicuro per un Brasile che non ha più tutta la vita davanti e, lo ribadiamo, non sa dove andare.

Nel 2002 Lula rappresentava una speranza di alternativa, credibile, non solo perché i Brics costituivano davvero un gruppo di paesi emergenti, capaci di realizzare sentieri di sviluppo economico e sociale alternativi a quelli occidentali, sia pur tra mille limiti, ma soprattutto perché guidava un paese di giovani.

Oggi, che i Brics sono in crisi e sembrano occupare il lato oscuro del pianeta, a causa di leader confusi e nazionalisti come Putin, Modi, Xi Jinping e Bolsonaro, cosa può fare davvero il piccolo Lula? Non ha la forza dell’uomo nuovo, non ha un modello da proporre e si trova di fronte un paese “invecchiato”.

Già nel 2004, due anni dopo la nomina a presidente, aveva già tradito le aspettative di sviluppo dal basso, le soluzioni partecipative basate sul protagonismo dei territori (produttivi), ispirate al capitalismo dal volto umano del Nordest italiano e dell’Emilia Romana (come lui chiamava la regione ospite negli anni dell’esilio). Si era buttato tra le braccia della grande industria, delle grandi metropoli e del capitalismo di stato.

Oggi rischia di tradire una seconda volta le aspirazioni di innovazione del suo popolo laborioso, quello entusiasta del petrolio zampillante dalle piattaforme di perforazione profonda, che oggi assomiglia sempre più al popolo italiano ed argentino.

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