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30 Maggio 2022 ~ 0 Comments

Impresa e Comunità

MDA

Venerdì 27 maggio 2022 ho partecipato a un incontro sul tema del rapporto tra impresa e comunità. 

L’incontro è stato organizzato da Otello Dalla Rosa, animatore del progetto Grande Vicenza e Direttore Generale del Gruppo Ferretto (specializzato nella produzione di magazzini, con oltre 100 milioni di fatturato). Assieme a lui sul palco, Francesca Masiero (Presidente di PBA spa, impresa specializzata nel design industriale, con un fatturato di circa 20 milioni di Euro), Maurizio Zordan (Presidente del Gruppo Zordan, con fatturato di circa 20 milioni di Euro, specializzato nell’arredamento di negozi di lusso), Don Luigi Maistrello, fondatore della cooperativa Elica e cappellano del Carcere di Vicenza.

La discussione si è incamminata lungo un percorso che può essere riassunto come segue:

  • il territorio veneto, nonostante i successi ottenuti sui mercati internazionali, fatica a combinare domanda e offerta di lavoro per ragioni legate alla dinamica demografica, alla mancanza di appeal delle sue imprese (che pagano salari inferiori a quelle di altri territori e non riescono a trattenere i talenti) e alla concorrenza esercitata dalle grandi città del Nord (Milano e Bologna in particolare), oltre che dalle capitali europee;
  • per evitare il declino è necessario ristabilire un quadro di regole che risolva i problemi aperti del sistema; ad esempio, bisogna attivare nuovi flussi di immigrazione, diffondere nuove formule gestionali e contrattuali (quelle ad esempio delle imprese comunità o delle benefit corporation) e valorizzare gli aspetti positivi delle “città-impresa” pedemontane, rendendole competitive in termini di servizi.

Zordan ha rispolverato i fasti dell’esperienza Marzotto e i lati positivi di un’impresa comunità veneta, che ha saputo trasformare il villaggio marginale di Valdagno in una città sociale, attrattiva, almeno fino alle fine degli anni ’70, con una qualità della vita superiore ad altri contesti urbani del tempo. La filosofia dell’impresa comunità, secondo Zordan, va rinnovata attraverso soluzioni gestionali come quelle proposte dal movimento delle Benefit Corp.

Francesca Masiero ha condiviso le suggestioni di Zordan e l’introduzione di Otello Dalla Rosa, ma ha calcato la mano sulle condizioni di contesto. Non basta avere imprese eccellenti, capaci di trattenere i cervelli, è anche necessario configurare un contesto territoriale competitivo con quello metropolitano. Altrimenti i giovani se ne vanno. Il Veneto è rimasto indietro proprio nella fornitura di servizi di qualità.

Don Luigi Maistrello è andato giù ancora più pesante, accusando le stesse organizzazioni cattoliche, il volontariato e le cooperative sociali di non rappresentare affatto un’alternativa alle imprese e alle istituzioni arretrate del Veneto e di non saper costruire un orizzonte comunitario all’altezza dei tempi. Troppo condiscendenti nei confronti delle regole di mercato o degli appalti pubblici, si riducono a organizzare la sotto-occupazione, invece di tenere al centro i processi educativi.

Tutti questi interventi sottintendono soluzioni, che tuttavia risultano parzialmente efficaci, poiché non mettono in discussione la centralità dell’impresa e della famiglia all’interno del quadro interpretativo.

Ho fatto notare questo problema, evidenziando un paio di contraddizioni, nelle stesse conclusioni dei relatori. 

Se come dice Francesca Masiero, i giovani migrano a Milano e in altre capitali europee, perché lì trovano (o pensano di trovare) un ambiente favorevole alla realizzazione dei propri sogni, e non perché trovano imprese, contratti o tutele migliori che in periferia, vuol dire che oggetto della discussione deve essere il “carattere della comunità”, più che dell’impresa. Non basta superare il concetto di “dipendente” per avere un sistema sociale all’altezza della società moderna, soprattutto nei servizi, oltre che nella manifattura.

Se, come dice Maurizio Zordan, l’impresa comunità deve saper investire sul territorio e trasformare lo stile di vita dei cittadini, e non solo dei lavoratori, non basta adottare nuove regole di gestione (lean, partecipazione, benefit) all’interno delle singole unità produttive. Non basta introdurre il tema del benessere dei lavoratori e delle loro famiglie nei processi aziendali, o creare sistemi contrattuali e di apprendistato che favoriscano i giovani (il 3° livello + ITS di Gigi Copiello), ma è necessario progettare “comunità moderne”, fuori cancello.

Se, come dice Don Luigi Maistrello, bisogna rivoltare come un calzino il sistema emerso dalla crisi del mondo cattolico e comunista, allo scopo di avere “comunità” in grado di sottrarsi alle consuetudini consociative e all’ideologia dell’impresa e del cittadino-utente/consumatore, allora è necessario riprendere il filo delle iniziative che favoriscono la costruzione di reti sociali, familiari e imprenditoriali come quelle dei distretti manifatturieri d’antan. 

Se questa è la situazione, è necessario riportare il concetto di “comunità” al centro dell’attenzione, nei processi formativi, nell’iniziativa politica e anche in quella imprenditoriale. Rovesciare il rapporto tra impresa e comunità, in direzione di migliori “comunità impresa” piuttosto che “imprese comunità”. Ci vogliono entrambe le cose, ovviamente, ma riconoscere all’istituzione “comunità” un ruolo prioritario e centrale nello sviluppo futuro, soprattutto in territori periferici come il Veneto, che sperimentano in ritardo la transizione verso l’economia e la società dei servizi, è un passaggio chiave nel dibattito odierno.

Qual è il problema? 

Che la crisi dei grandi sistemi, quello cattolico e comunista (studiati da Bagnasco e Trigilia, nel momento del decollo della Terza Italia, a Bassano e Poggibonsi) ha comportato il declino di alcune competenze chiave nella pianificazione territoriale e ci ha lasciati schiavi dell’ideologia dell’impresa, come istituzione centrale nello sviluppo. Centrale nella costruzione dei rapporti di lavoro, nella scuola, nella mobilità dei cittadini e dei giovani professionisti. 

Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Abbiamo perso capacità di costruire lo sviluppo locale, inteso come trasformazione sociale. Dovremmo farlo adottando il paradigma della complessità, ma passiamo il tempo a discutere di contratti, salari e incentivi economici per i giovani, dentro la “vecchia scatola” dell’impresa. 

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