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21 Aprile 2022 ~ 0 Comments

L’Europa e la politica estera

Paolo Mieli chiude un recente editoriale sul Corriere della Sera con una urticante domanda retorica: “Ma, se un domani, Finlandia o Svezia fossero aggredite dalla Russia, a chi chiederebbero aiuto? All’Europa o alla NATO?”

In questo semplice e intrigante interrogativo si nasconde la miseria dell’Unione Europea, di fronte a un passaggio chiave della sua storia. Nonostante l’impegno encomiabile di alcuni suoi alti rappresentanti, come Ursula von der Leyen, Roberta Metsola e Josep Borrel, che si spendono a favore della causa ucraina e di un’identità forte e indipendente dell’Europa all’interno del fronte occidentale, i leader nazionali tirano indietro. 

Lo fanno per miopia, per timore di essere travolti dall’ondata populista dilagante dall’Ungheria di Orban alla Francia di Macron, ma anche e soprattutto per attaccamento a quello che ritengono il loro bene supremo: l’economia nazionale come pilastro portante della loro identità.

Non c’è dubbio che l’Europa sia diventata una potenza economica, grazie alla logica di competizione tra modelli nazionali e regionali, a una governance aperturista e a una divisione del lavoro che privilegia produttività e ragioni di scambio, invece dei cannoni. I leader nazionali e regionali, difendono giustamente l’identità produttiva dei propri cittadini, che investono su macchinari e ai servizi innovativi, piuttosto che strutture militari, non pensano alla politica estera e alla contesa culturale con le altre grandi potenze.

Tuttavia i leader nazionali devono tener conto che il gioco della globalizzazione commerciale e della divisione internazionale del lavoro non è affatto garantito per sempre. Le grandi organizzazioni economiche, come gli USA, la Cina e altri paesi popolosi del pianeta, Russia in testa, non sono affatto felici del primato dell’Europa. Senza una politica estera comune, anche solo commerciale, i nostri stati nazionali, non possono che attendersi un futuro poco favorevole, tutt’affatto diverso dal periodo costituente dell’UE e dell’Euro. 

Xi Jinping ha già ridotto l’autonomia delle aziende private cinesi e s’intende al volo con Putin e con Trump/Biden, nella limitazione dei commerci. Va d’accordo con le classi dirigenti dell’Arabia Saudita, dell’Algeria, del Congo, che vivono di rendita sulle materie prime, e tifano per un futuro di rivalsa sull’Europa.

Per conservare uno schema di gioco favorevole e la pace, i leader europei devono definire una politica estera comune, una strategia di valorizzazione dell’esperienza UE, un accordo con gli altri stati indipendenti che scommettono sullo sviluppo produttivo e non sul protezionismo. E devono adottare una strategia di difesa che non sia mero appalto della sicurezza a terzi. E non è detto che questo significhi per forza armarsi fino ai denti.

© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (21 Aprile 2022)

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