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02 Gennaio 2022 ~ 0 Comments

La UE e il debito della Next Generation

L’Europa invecchia. Finora si è sostenuta grazie a due processi di convergenza. Da un lato ha perseguito un modello di sviluppo basato sulle esportazioni. Priva di risorse naturali e di spazi per un’agricoltura estensiva, si è specializzata nell’esportazione di macchinari, automobili e beni di lusso, verso i paesi emergenti (BRIC) in particolare. Dall’altro ha promosso un processo di integrazione dei paesi ex-comunisti, all’interno del modello liberal-democratico e del sistema produttivo dell’Arco Alpino, grazie ai fondi di coesione.

In questo modo l’UE ha costruito un impero. E’ diventata una potenza economica di tutto rispetto, emulando gli USA e il Giappone, nell’emissione di una propria moneta e nell’assunzione di debiti con il resto del mondo.

Tuttavia invecchia. Non dispone di risorse umane sufficienti ad alimentare il ricambio della generazione post-bellica, quella che, a costo di non pochi sacrifici e migrazioni interne, ha prodotto il miracolo economico degli anni ’80 e ’90. E oggi è sulla soglia della pensione.

La crisi globale del 2009 ha segnalato l’esaurirsi del ciclo positivo dell’UE e l’attuale crisi da Covid rimarca la sua debolezza sistemica. Ricordiamoci che l’Impero Romano è collassato a causa del rendimento marginale decrescente degli investimenti nelle conquiste territoriali. L’URSS è collassata a causa del rendimento marginale decrescente degli investimenti nelle repubbliche periferiche.

Possiamo pensare che anche l’Europa sia arrivata al capolinea? Il Next Generation fund è l’inizio di una nuova era di espansione oppure il canto del cigno di un sistema che punta a sopravvivere attraverso il debito verso altri paesi e le giovani generazioni?

La politica di investimenti, che in tutte le regioni del Vecchio Continente sta prendendo forma, grazie al Next Generation Fund, può evitare il declino, a condizione che i vari PNRR nazionali siano diretti a produrre innovazioni, aumentino il rendimento a lungo termine del sistema e non servano solo a sostenere la crescita. Di questo la politica dovrebbe discutere.

L’alta velocità: serve a ridurre l’impatto energetico e climatico dei mezzi a motore o promuove anche nuove forme di organizzazione dell’industria e dei servizi? La produzione industriale: riuscirà a orientarsi a obiettivi diversi dai flussi di esportazione? La bio-diversità culturale e i prodotti idiosincratici, tipici dell’Europa: riusciranno a generare nuovi flussi turistici e migratori? Riusciremo a costruire un modello di re-distribuzione intelligente del lavoro tra generazioni, oltre il welfare pensionistico tradizionale?

La politica deve dare risposte a queste domande concrete. Non può continuare a gingillarsi su questioni formali e di ruolo. Altrimenti il debito che stiamo accendendo non si ripagherà.

© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (2 Gennaio 2022)

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