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24 Novembre 2021 ~ 0 Comments

Servizi 4.0 per attirare lavoratori

Supponiamo che, nonostante gli appelli del presidente di Confindustria Veneto Centro, non ci siano immigrati disponibili a venire a lavorare da noi. Supponiamo che, nonostante le politiche attive della famiglia, il saldo demografico rimanga negativo. Supponiamo infine che i pochi giovani diplomati, nella nostra società signorile di massa, se ne vadano altrove. Che facciamo?

In questo caso dovremmo prendere atto che il mercato del lavoro non c’è più. E che, se continuiamo ad affidarci a interventi di formazione e politica attiva tradizionali, non andiamo da nessuna parte.

Veniamo alla realtà di questi giorni. Leopoldo Destro afferma che le imprese del Veneto sono pronte a ricevere lavoratori da altre regioni e altri paesi del mondo. Ma la società e la politica regionale sono pronte a fare la propria parte? La risposta è no, soprattutto per ragioni tecnico-organizzative.

I lavoratori che mancano non sono braccianti. Vanno inseriti in cicli produttivi complessi, intrisi di conoscenza tacita. Vanno integrati in comunità che vivono in simbiosi con importanti filiere globali, rassicurati a proposito di previdenza, assistenza e rispetto dei diritti essenziali. Altrimenti non vengono, neanche se minacciati da guerre, regimi illiberali, fame e malattie. Parliamo dei lavoratori veri, ovviamente, non dei mercenari disponibili a tutto.

Le strutture della regione, che si occupano oggi di mercato del lavoro (Centri per l’Impiego, INPS, Uffici delle Questure, Veneto Lavoro, Camere di Commercio, Ufficio Scolastico Regionale), non sono organizzate per governare un sistema basato sulla scarsità dell’offerta. Non sono attrezzate per re-distribuire il lavoro, per attirare talenti e sviluppare percorsi nuovi di formazione. Non sono neanche un sistema, a dire il vero, ma un insieme di funzioni indipendenti.

Per far fronte ai problemi dell’oggi, queste strutture dovrebbero evolvere, rapidamente, verso un sistema complesso, un competence network impegnato a esplorare strade nuove rispetto al passato. La prima è quella che porta a modelli di reclutamento e integrazione (sociale e politica) innovativi, che mettano al sicuro i nuovi lavoratori dalle insidie del “prima noi”, dal razzismo strisciante di una società divisa in patrizi, plebei e para-schiavi di seconda generazione. La seconda è quella che porta a un modello di re-distribuzione del lavoro tra i residenti, oltre le politiche attive, che consenta di cogliere le opportunità offerte dalla nuova divisione globale del lavoro, riducendo le sacche di inefficienza e inattività che ancora persistono.

C’è un piano in questa direzione? Se no, la Regione Veneto deve intervenire, promuovendo la nascita di un sistema di servizi integrato, all’altezza di una fase di scarsità strutturale per la risorsa chiave dello sviluppo.

© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (24 Novembre 2021)

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