Home » Prima pagina » L’autonomia si pratica, non si rivendica

18 Novembre 2021 ~ 0 Comments

L’autonomia si pratica, non si rivendica

In un recente incontro, dedicato al tema delle certificazioni internazionali, ho sentito un piccolo imprenditore dichiarare quanto segue: OK. Io mi certifico e rispetto le regole. Ma chi ha fatto le regole, da un lato, e lo Stato, dall’altro, non mi proteggono dai concorrenti che non le rispettano.

Cosa rivelano queste affermazioni? Che quell’imprenditore opera in uno stadio intermedio di una filiera globale, guidata da altri. Probabilmente ha scelto di essere “solo” un fornitore e di non partecipare alla definizione delle regole di mercato e del connesso sistema di premi e sanzioni. Da soggetto debole della catena si appella allo Stato per avere giustizia, laddove lo Stato non può intervenire, rivelando un atteggiamento ingenuo, che non coglie la complessità del problema.

E’ un punto critico del nostro sistema: la diffusa incompetenza in materia di progettazione partecipativa e amministrazione di reti complesse. Il Veneto, pur essendo terra di distretti e organizzazioni a rete, non è in grado di esprimere linee guida e leadership sull’argomento. Come insegna il maggiore esperto italiano della questione, Federico Butera, le reti complesse si governano attraverso intese tra leader autorevoli e competenti. Non serve battere i pugni sul tavolo o rivendicare tutele da un vertice che non ha competenze, ma soltanto autorità.

L’autonomia si pratica. Non si predica e non si rivendica.

Quanto accaduto dal 2017 a oggi nel Veneto sta portando consenso al governatore, come ai sindacalisti che predicavano il Sol dell’Avvenire, ma non sta costruendo una cultura dell’autonomia come progetto di partecipazione autorevole, come proposta organizzativa reale.

La rivendicazione di un ruolo e di uno spazio, che non si è in grado di conquistare nella pratica attraverso l’esercizio autorevole della propria competenza, è un segno di debolezza strutturale. Richiama, appunto, comportamenti sindacali e piattaforme desuete, che non conducono i rappresentati nella stanza dei bottoni, ma li lasciano ad libitum in una condizione di subalternità. E non è escluso che un simile approccio sia anche responsabile di fenomeni di disillusione e disfattismo (come i movimenti No Pass, No Quote Latte, No Tax, che nel Veneto sono più diffusi che altrove).

Zaia può anche aver rafforzato la propria leadership personale, ma non ha saputo costruire un modello organizzativo coerente con un diverso status della nostra regione. Per condurre i cittadini e le imprese a una condizione di maggior potere oggettivo, avrebbe dovuto lavorare sodo sul rapporto che esiste tra industria e servizi e soprattutto sul rapporto tra istituzioni e progetti privati.

Sulla strada dell’autonomia, l’establishment regionale non ha saputo sperimentare modelli di partecip-azione organizzativa adeguati. Ha avuto molto consenso, ma ha prodotto pochi fatti concreti.

© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (18 Novembre 2021)

Leave a Reply