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30 Settembre 2021 ~ 0 Comments

Per un patto sociale, fondato sulla partecipazione

Patto sociale? Sì, ma quale? Da quando Draghi si è insediato a Palazzo Chigi, il tema di un cambio di passo nelle relazioni tra le persone, le forze politiche, i territori e le forze sociali, si è fatto avanti nel dibattito pubblico. Tuttavia non si sono visti risultati concreti. Il cambio di passo procede a rilento. Tutti auspicano il cambiamento, ma restano abbarbicati alla conservazione: ognun per sé, contro lo Stato, in strenua difesa delle proprie prerogative, territoriali e di categoria.

Fa bene Confindustria a sollecitare la condivisione di nuovo scenario, oltre il Recovery Plan. Deve tuttavia qualificare meglio la propria proposta, per non generare reazioni confuse. Deve dire, ad esempio, che l’obiettivo prioritario è entrare nel capitalismo della conoscenza e che un cambio di passo non è possibile senza l’adozione di nuovi contratti, nuovi sistemi governance delle imprese (servizi pubblici inclusi) e nuovi sistemi di rappresentanza.

Vogliamo davvero contrastare il declino di produttività, nei servizi, che ormai sono i due terzi dell’occupazione? Vogliamo promuovere la competitività attraverso l’innovazione digitale e gli investimenti sulla transizione ecologica? Vogliamo coinvolgere in modo nuovo le donne nei consigli di amministrazione, così come nel mondo del lavoro?

Dobbiamo adottare uno schema di gioco innovativo, cambiare segno ai riti e alle consuetudini delle organizzazioni industriali e delle rappresentanze sindacali.

Il patto sociale proposto da Ciampi trent’anni fa, per superare il default della Prima Repubblica, è senza dubbio un riferimento utile per ragionare. Ha prodotto importanti trasformazioni: ha cambiato la politica sindacale, ha fatto crescere l’autonomia delle regioni e delle imprese, è servito a entrare in Europa. Tuttavia non ha cambiato il carattere dei protagonisti: le coalizioni di centro-destra e centro-sinistra non sono diventate un laboratorio utile a costruire scelte di governo; i sindacati si sono istituzionalizzati, perdendo autonomia e competenza; le regioni non sono diventate un motore dell’integrazione europea.

E soprattutto, la partecipazione, intesa come governance condivisa dei progetti territoriali e d’impresa, non è diventata principio costituente. Non è stata praticata, nei fatti. I rappresentanti del capitale e del lavoro hanno continuato a essere contrapposti e rivendicativi. Consociativi, ma non produttivi.

Per avere un nuovo patto sociale, bisogna dunque misurare una sostanziale trasformazione nel carattere e nel ruolo dei protagonisti. Le relazioni industriali devono evolvere verso forme di integrazione effettiva. E questo è possibile solo se i rappresentanti dei lavoratori imparano a valorizzare la componente cognitiva del lavoro, meglio dei manager nominati dai soci o dei dirigenti pubblici nominati dalla politica.

© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (30 Settembre 2021)

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