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24 Giugno 2021 ~ 0 Comments

Non basta il Recovery Plan. Serve un patto di produttività e partecipazione

Bene il Recovery Plan, ma non aspettiamoci che il governo Draghi risolva il problema numero uno del nostro Paese: la produzione del reddito, non la sua distribuzione. Draghi, come Ciampi e Monti prima di lui, sta cercando di mettere i conti a posto, di introdurre alcune ipotesi di riforma, con il placet dell’Europa, ma non può cambiare il patto nazionale.

Un patto nazionale che non garantisce, oggi, livelli di occupazione e produttività soddisfacenti. Fa aumentare il debito, ma non il reddito pro-capite, che rimane al di sotto delle aspettative dei cittadini. Non è un patto sostenibile, a lungo termine.

Per capire l’importanza del problema è opportuno citare l’esempio di due paesi che lo hanno risolto.

Il primo è il Giappone. Il patto nazionale giapponese è incardinato sulla produttività. I rappresentanti delle imprese e dei lavoratori fanno i conti ogni primavera (durante la campagna dello shunto) e decidono, di comune accordo, quanto investire in azienda e quanto distribuire per consumi e previdenza. Lo Stato interviene a sostenere la competitività dei grandi conglomerati industriali (keiretsu) sui mercati esteri e assicura formazione e ricerca, mentre il sistema bancario gestisce cassa e debito. Non è un patto efficientissimo, ma dura nel tempo.

Il secondo esempio è la Germania. Anche il patto nazionale tedesco è basato sulla produttività. I rappresentanti delle imprese e dei lavoratori adottano regole partecipative (Mitbestimmung) e decidono i livelli salariali guardando ai risultati. Le regioni dello Stato Federale (Länder) svolgono funzioni di sostegno allo sviluppo e tengono conto del vincolo costituzionale (ordo-liberale) a non sforare il budget disponibile. Cooperano con il centro, accumulano riserve e creano lavoro di qualità.

L’Italia non dispone di un patto di questo genere. Le rappresentanze dei lavoratori sottoscrivono contratti, nel bene e nel male, che prescindono dai risultati. Le grandi aziende non si pongono il problema di attivare accordi con i fornitori e con lo Stato, che aumentino la buona occupazione (vedi Telecom e Autostrade). Le regioni vanno ognuna per conto proprio e non rispettano i vincoli di bilancio. In questo modo gli italiani, con livelli di istruzione più bassi degli altri, sono costretti a lavorare in settori a basso valore aggiunto e in posizioni di secondo piano nelle catene globali del valore. Tutto questo è insostenibile, nel lungo termine.

Perdere tempo a discutere se Draghi sia liberista oppure no, non ha senso. Impariamo invece, partiti e sindacati in testa, a ragionare di produttività e partecipazione, come i paesi che amministrano lo Stato Sociale in modo intelligente. Non siamo “americani” e non possiamo permetterci di emettere assegni a vuoto. Diamoci una regolata, finché siamo in tempo.

© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (24 Giugno 2021)

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