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14 Aprile 2021 ~ 0 Comments

Scontro Stato-Regioni

Governatori o sindacalisti di territorio?

E’ facile dimostrare che la gestione della pandemia, a un anno di distanza dai primi provvedimenti restrittivi, è stata patrimonio (quasi) esclusivo delle Regioni e della componente “aperturista”, rivendicativa, della società. Ed è facile dimostrare che il Governo centrale, il CTS, il Ministro Speranza sono stati ostaggio dei dictat, degli attacchi mediatici e istituzionali dei “governatori” e non hanno avuto spazio politico per intervenire a livello locale. De Luca docet!

Tuttavia, la vulgata popolare tende ad attribuire le maggiori responsabilità della confusione in cui siamo precipitati alle autorità nazionali. E i commercianti di Roma protestano davanti a Palazzo Chigi, non davanti alla Regione Lazio.

Si potrebbe così concludere che il braccio di ferro tra Regioni e Stato, non solo non ci sta portando fuori dalla crisi, ma alimenta una tensione sociale crescente.

Dopo la fase di empatia generalizzata, dei cori alle finestre, è subentrata una fase di sindacalismo diffuso. Ognun per sé! Nelle file per i vaccini, nella difesa dei presunti diritti calpestati. Categorie economiche, gruppi sociali contrari alla DAD, contestatori organizzati. Tutti in piazza a protestare. E chi guida la protesta? I governatori! Cresciuti nella cultura del sindacalismo di territorio, hanno avuto buon gioco a scendere in campo contro lo Stato di Conte nel 2020 e dell’Alpino Figliuolo nel 2021.

Da quando il Coronavirus è stato dichiarato “clinicamente” morto il Governo Centrale ha dovuto rinunciare a decisioni coordinate a livello nazionale ed è stato costretto ad avviare la politica dei mille colori che tutti conosciamo. Nulla è cambiato a livello regionale, né dal punto di vista della salute di territorio, né dal punto di vista dei piani di vaccinazione. E tuttavia la protesta rimane orientata contro Speranza, Draghi e von der Leyen.

Un capolavoro. I presidenti di regione possono essere soddisfatti, perché hanno sostituito la “dittatura sanitaria” con la “dittatura delle regioni”. E infatti protendono le mani sul Recovery Fund. Ma il sistema Italia non esce dalla pandemia, dalla crisi economica e dalle chiusure arcobaleno, proprio perché i presidenti di regione tutto sono, tranne che innovatori, governatori di risorse collettive, orientati a sussidiarietà e partecipazione. Non c’è all’orizzonte un leader capace di spostare il confronto politico dal conflitto rivendicativo alla coesione istituzionale.

Ai tempi della Scala Mobile, furono Carniti e la CISL, a interrompere la spirale inflazionistica e ad aprire una nuova stagione sindacale. Oggi invece non si vede un leader regionale che sappia interrompere la spirale dell’indecisionismo perfetto in cui siamo precipitati e proporre una soluzione duratura al conflitto istituzionale che stiamo vivendo.

© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (14 Aprile 2021)

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