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03 Marzo 2021 ~ 0 Comments

La restaurazione

L’intervento dei poteri forti sulla crisi italiana può essere interpretato come la restaurazione di un sistema di governo e di una classe dirigente che i movimenti di protesta e l’anti-politica degli ultimi anni avevano messo seriamente in discussione.

La Lega Nord secessionista, all’attacco delle rendite romane, i sostenitori della democrazia social, animati da Grillo, i populisti anti-europei di Salvini, lasciano spazio all’apparente ritorno di un ordine neoliberale, impersonato da Draghi e dalla Merkel.

Non illudiamoci. Il mondo occidentale è in ebollizione. L’equilibrio affidato alla responsabilità dei capitalisti e alla competenza amministrativa di banchieri, più o meno centrali, e a policymaker delle istituzioni, è sempre più difficile da raggiungere e il malcontento dilaga.

Secondo Dani Rodrik le cause di questo fenomeno, esacerbato dalla crisi pandemica, sono due: la scarsità di “buoni” lavori e la polarizzazione incontrollata delle componenti sociali. Se non cambia qualcosa, il sistema democratico va in crisi, perché si espande l’area degli elettori esclusi dai “buoni” lavori e dalle opportunità di crescita.

L’élite che amministra profitti e gettito fiscale deve soddisfare la domanda di sviluppo sostenibile che proviene dalla base sociale, soprattutto dai giovani. Altrimenti il conflitto tra popolo e élite torna a incancrenirsi e non trova composizioni convincenti.

Come in altre fasi della storia mondiale, dopo sommovimenti convulsi e tensioni fallite al cambiamento, arriva una fase di restaurazione. Gli anni che hanno caratterizzato l’uscita dalla crisi del 2008 sono stati anni di forte malcontento, ma non hanno portato a un sistema migliore di quello di partenza. Per questa ragione assistiamo oggi al ritorno dell’élite che ha saputo resistere alla crisi dell’Euro (Draghi) e al quasi-collasso dell’Unione Europea (Merkel).

Questa nuova élite, si fa per dire, non è tuttavia chiamata a restaurare il modello neo-liberale, quanto a sperimentare nuovi modelli post-keynesiani di ripresa, che risolvano il tema del lavoro “buono” e del reinvestimento del surplus, e mobilitino i network della società civile, più che le imprese.

Attorno a Draghi e ai ministri tecnici, siedono ancora i rappresentanti dell’anti-politica e della rottamazione. La sfida non è dunque solo quella di risolvere i problemi a lungo rinviati (COVID, Alitalia, Autostrade, debito), ma di costruire un nuovo rapporto tra élite e popolo, lavorando sulla ristrutturazione del sistema politico e sul coinvolgimento produttivo della società. Alcuni segnali già si vedono. Ma è dalla mobilitazione sociale che dipende il successo del governo Draghi e dei successori della Merkel in Europa.

Senza dare speranza e spazi di azione concreta agli sbandati del liberalismo in crisi, la restaurazione in corso potrebbe durare poco.

© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (3 Marzo 2021)

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