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05 Febbraio 2021 ~ 0 Comments

Il Recovery Fund non è un’occasione “straordinaria”

IDa più parti si definisce il Recovery Fund un’occasione “straordinaria” per lo sviluppo. Come se l’arrivo di una montagna di soldi porti automaticamente non solo alla soluzione della crisi congiunturale che stiamo vivendo, ma anche a linee di investimento che garantiscano in futuro buoni posti di lavoro, un ambiente sano e sostenibile, alta redditività per le imprese.

Non è così!

Lo sviluppo non si improvvisa, con qualche riunione al vertice delle istituzioni oppure con la redazione di libri dei sogni, che poi danno forma a bandi improvvisati e a una conseguente distribuzione di finanziamenti a pioggia a coalizioni opportunistiche, guidate da esperti nell’arte della cattura di fondi pubblici.

Lo sviluppo è un processo lungo e complicato, che passa attraverso la formazione di competenze solide e di codici di comportamento commerciale e produttivo condivisi da migliaia di persone. Negli anni ’70 e ’80 lo sviluppo del Veneto è stato sostenuto dai saperi distribuiti in una vasta gamma di grandi imprese incubatrici, che hanno consentito a migliaia di tecnici e operai di mettersi in proprio e costruire distretti e reti di piccola impresa.

Per produrre oggi il passaggio a filiere industriali sostenibili, a nuovi prodotti dell’economia circolare, a sistemi di intelligenza artificiale in grado di aumentare la produttività del lavoro e soprattutto delle macchine, ci vuole tempo. Non bastano gli appelli alla coesione e le competenze interne alle istituzioni e alle organizzazioni di partito che le guidano.

Il miserabile esito dell’esperimento iniziato con la formazione dei navigator sta a dimostrare che il mestiere dell’animatore-agente di sviluppo è tremendamente difficile.

Non bastano le competenze presenti all’interno degli enti locali, chiamati ad esprimere esigenze infrastrutturali e piani di sviluppo di area vasta. Le risorse umane impiegate nell’ordinaria amministrazione, sia a livello direzionale, che a livello esecutivo, non sono allenate a svolgere funzioni di sviluppo. All’interno delle province e dei comuni non è mai esistita la funzione di animatore di sviluppo territoriale. Non è mai stato formato un ceto solido di funzionari motivati e competenti in una materia che è, per sua natura, imprenditoriale, anche se collocata nella sfera dei beni comuni.

Cosa possiamo fare adesso? In primo luogo dobbiamo individuare le strutture che svolgono oggi il ruolo di incubatore delle competenze di cui abbiamo bisogno, sia nel settore pubblico che in quello privato. In secondo luogo dobbiamo trasformare la funzione di sviluppo, a vari livelli, in una funzione ordinaria, che coinvolga personale qualificato, capace di produrre risultati nel lungo termine. Altrimenti, il nostro futuro dipenderà ancora dall’improvvisazione e da procedure “straordinarie” inefficaci.  

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