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20 Dicembre 2020 ~ 0 Comments

Un patto sociale per battere il Covid nel Veneto

A fine marzo, quando eravamo ancora in pieno lockdown, un articolo sulla Harvard Business Review indicava nel “Veneto approach” la via da seguire per affrontare l’emergenza Coronavirus.

La seconda ondata della pandemia non sembra, ahinoi, poter confermare questo lusinghiero giudizio. Pochi giorni fa Roberto Battiston, fisico di fama mondiale che monitora i dati sui contagi in base a modelli epidemiologici, ha dichiarato che il Veneto è tra le regioni in cui il Covid rischia di andare fuori controllo. Dalla Zuanna e Moriani hanno proposto su questo giornale commenti molto preoccupati sull’andamento dei contagi e sulla mortalità nella nostra regione. Gli appelli disperati dei medici ospedalieri della regione non lasciano del resto molto spazio alle interpretazioni.

Com’è stato possibile questo netto peggioramento nel controllo dell’epidemia? Cosa abbiamo sbagliato? Porsi questa domanda non nasconde alcun intento accusatorio, ma è un atto di onestà intellettuale che dobbiamo assolutamente compiere se vogliamo uscire dalla rovinosa situazione in cui siamo precipitati ed evitare di caderci in futuro.

Innanzitutto è venuto meno l’ancoraggio delle decisioni politiche al metodo scientifico. L’originale ricerca sulla diffusione dell’epidemia a Vo’, i cui risultati sono stati pubblicati su Nature, aveva fornito dati fondamentali per impostare una strategia di contenimento dei contagi. A un certo punto si è però deciso di mettere in secondo piano la ricerca scientifica, affidandosi a metodi e tecnologie empiriche e scommettendo sulla spontanea scomparsa del virus. Si è così rinunciato a organizzare un serio e affidabile sistema di tracciamento che, con la partecipazione di ricercatori e medici di base, avrebbe giocato d’anticipo sull’infezione, limitando le ospedalizzazioni.

In secondo luogo, mentre nella prima fase c’è stata un’ampia adesione sociale alle decisioni del governo, nella seconda si è preferito affidarsi al senso di responsabilità individuale. Ma quando si interiorizza oltre ogni limite la logica del mercato e delle libertà individuali, si perde di vista non solo l’interesse collettivo, ma anche la dimensione organizzativa. In questo modo si distrugge l’idea stessa di territorio, inteso come sistema complesso di regole e beni comuni all’interno del quale ciascuno può competere creando benefici per tutti.

A ben vedere, quanto accade in questi giorni in Veneto è la diretta conseguenza di una zona gialla sbandierata come simbolo di auto-regolazione, invece che come imperativo istituzionale a organizzare meglio la comunità contro una sfida tremenda. Per ricostruire una capacità di controllo dell’epidemia e non compromettere l’imminente campagna di vaccinazione, non basta fermare gli spostamenti nel pomeriggio.

E’ invece necessario ristabilire i legami con la tecnostruttura scientifica e definire un patto sociale con i sistemi organizzativi che, assieme agli ospedali, in questa regione ancora funzionano: le medio-grandi imprese, il mondo associativo, la rete del volontariato. Questo patto può gettare le basi anche per un piano innovativo e credibile di rilancio del Veneto dopo l’epidemia.

Giancarlo Corò e Paolo Gurisatti

© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (20 Dicembre 2020)

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