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23 Novembre 2020 ~ 0 Comments

PPAA e produttività

La crisi pandemica dovrebbe essere l’occasione per uno straordinario sforzo di innovazione, nella PPAA, al servizio del paese. Se non ora, quando? Eppure i segnali che ogni giorno arrivano dalla cronaca dell’emergenza e dalla discussione sul bilancio dello Stato non sono confortanti.

Si dice che l’Italia sia un paese contraddittorio, fatto di luci e ombre, che nel momento del bisogno riesce a trovare la via del riscatto, attraverso risorse non ordinarie. Grazie alla mobilitazione della società.

Proviamo a vedere cosa è successo nel mondo della scuola per misurare la correttezza di questa interpretazione. A settembre abbiamo riavviato il sistema in presenza e accettato le rassicurazioni delle autorità di governo, circa l’esistenza di un piano bene organizzato. Nel giro di un mese, non solo la riapertura “in sicurezza” si è rivelata un’illusione, ma abbiamo assistito a una drammatica sequenza di conseguenze “impreviste”, con effetti negativi su costi e sulla produttività dei servizi collegati alla scuola.

Quando si sono verificati i primi contagi all’interno di molte classi, il sistema organizzativo è andato in tilt. Non solo i dirigenti scolastici non sono riusciti a dare indicazioni (agli insegnanti, agli studenti, ai genitori), ma il sistema di assistenza sanitaria è rimasto paralizzato.

Medici di base impossibilitati a far fronte alla crescita dei contatti, nessun centro di assistenza in grado di provvedere ai tracciamenti, famiglie abbandonate nella ricerca del tampone “privato”, trasferimento delle lezioni a distanza, senza server e senza tecnologie, file confuse davanti agli ambulatori o nei drive through, vaccini anti-influenzali che non si trovano, ecc.

La macchina organizzativa dello Stato (regioni incluse) ha confermato le proprie caratteristiche, da sempre nel lato delle “ombre” del sistema paese. Non c’è stato un colpo di reni. I costi dell’inefficienza sono impressionanti, se mettiamo in conto non solo l’attività straordinaria degli addetti ai lavori, dell’esercito, della Protezione Civile, ma anche e soprattutto i costi che le famiglie e le imprese hanno dovuto affrontare per “arrangiarsi”.

Ha tenuto la rete delle parrocchie, che in silenzio continua a sfornare pasti caldi per i più poveri, rimasti ai margini del sistema pubblico in tilt. Hanno tenuto le famiglie del ceto medio, che hanno fatto ricorso ai servizi privati (in forte crescita di prestazioni, occupazione e profitti). Hanno tenuto le imprese private, che si sono sostituite alla macchina dello Stato.

Le autorità di governo assicurano un piano per la distribuzione dei vaccini anti-Covid. Ma per quale ragione insistono sul sentiero sbagliato? Se non cambia il modello organizzativo, se la PPAA continua a funzionare come una fabbrica degli anni ’50, come può pensare di assumere nuovi compiti produttivi?

© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (23 Novembre 2020)

Le responsabilità delle forze sindacali

La crisi pandemica dovrebbe essere l’occasione per uno straordinario sforzo di innovazione, nella PPAA come in altri settori del sistema Paese. Se non ora, quando? Diciamo tutti che l’Italia è un paese straordinario, che nel momento del bisogno riesce sempre a trovare la via del riscatto, attraverso la mobilitazione di cittadini e lavoratori. Con tutto lo smart-working di questi mesi e l’impegno profuso nelle scuole e nelle unità socio-sanitarie, è mai possibile che questa via del riscatto e dell’innovazione si veda così poco, nella PPAA?

In parte questo dipende dalla subalternità della politica alla burocrazia e al fatto che quest’ultima non ha nessuna intenzione di auto-riformarsi. Conta tuttavia anche il fatto che le forze vive della PPAA sono intrappolate da logiche sindacali, che invece di guardare alla produttività e all’innovazione organizzativa, si fossilizzano sui diritti, sulle tutele e sui rinnovi contrattuali.

A settembre è stata avviata la didattica in presenza, sulla base di un piano calato dall’alto. Nel giro di un mese, non solo la riapertura “in sicurezza” si è rivelata un’illusione, ma si è anche assistito a una drammatica sequenza di conseguenze impreviste, con effetti negativi sull’efficienza dei servizi scolastici. Quando si sono verificati i primi contagi, non solo i dirigenti non sono riusciti a dare indicazioni (agli insegnanti, agli studenti, ai genitori), ma le stesse rappresentanze dei lavoratori sono rimaste alla finestra, a difendere il ruolo “dipendente” dei propri iscritti, invece di usare l’autonomia come strumento di mobilitazione in positivo.

Idem nella sanità. I medici di base, non sono intervenuti, attraverso le proprie organizzazioni, per co-gestire i tracciamenti. Così come le associazioni di farmacisti non si sono mobilitate per aiutare le famiglie a trovare tamponi “privati”, drive through e vaccini anti-influenzali. Non parliamo degli uffici amministrativi e dei servizi al cittadino.

La macchina organizzativa della PPAA (incluse le attività private para-pubbliche) è rimasta in stand-by, nonostante l’impegno eroico di molti individui. Non è stata teatro di innovazioni visibili, concertate, che valorizzino l’impegno personale dei singoli.

Le condizioni del pubblico impiego non aiutano la partecipazione, ma in questo momento di crisi, la via maestra per produrre risultati tangibili, non è quella di insistere sulle tutele e sulle procedure di legge, ma quella di innovare le strutture organizzative.

La produttività è un interesse di tutti e crea margini per miglioramenti salariali, di ruolo e di servizio. Perché non è messa al centro della contrattazione? Perché rimane elemento residuo di negoziati dal profumo d’antan, invece di essere, per una volta, terreno di scontro in positivo tra lavoratori e dirigenza politico-amministrativa?

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