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21 Luglio 2020 ~ 0 Comments

A scuola, senza innovazione

Fervono i preparativi per la riapertura delle scuole a settembre. L’attenzione si concentra soprattutto sulla gestione degli spazi, nell’ipotesi di un ritorno alla didattica in presenza. E tuttavia le forze sindacali sottolineano la mancanza di risorse umane e immobiliari. Tutto il resto passa in secondo piano. Il nostro sistema formativo si predispone a passare la nottata d’autunno, facendo appello alla buona volontà dei dirigenti scolastici, delle famiglie e delle amministrazioni locali.

La riapertura non sarà quindi occasione di un rinascimento, un cambiamento di vecchi schemi e vecchie procedure, un ammodernamento di strutture didattiche in crisi già prima della crisi sanitaria. L’insostenibilità energetica e sismica di molti edifici scolastici resterà incombente, MES o non MES. Le classi e gli autobus pollaio? Sempre uguali. L’orientamento in alternanza? Può aspettare. Non è essenziale.

In questo clima, rischiano di essere smentiti i propositi di innovazione sollecitati da più parti. Sembra anzi prevalere un atteggiamento luddista, contrario alle nuove tecnologie e ai timidi tentativi di cambiare impostazione al sistema educativo.

I leader di governo, ma anche molti dirigenti e insegnanti “frontali”, corrono verso il rapido ritorno alla normalità, perché vogliono chiudere ogni altra discussione.

Eppure, il sistema formativo, come documentano i dati Alma Laurea e Alma Diploma, già prima dell’epidemia mancava l’obiettivo di produrre persone e competenze adeguate a Industria 4.0, ai nuovi servizi del turismo sostenibile o di supporto della gestione innovativa della salute nel territorio.

I piani di studio proposti restano orientati a percorsi e profili standard, magari di eccellenza, in base ai parametri nazionali e internazionali (INVALSI e PISA), ma poco allineati alle esigenze di un mondo produttivo che viaggia in direzioni diverse da quelle imboccate all’inizio degli anni ’80 e ‘90. Le iniziative di orientamento restano un’arma spuntata, se concentrate a deviare il flusso delle matricole all’imbocco della scuola superiore o dell’università. Diventano un modo per catturare clienti, in un mercato della formazione in calo, più che un contributo all’impostazione di piani di studio personalizzati.

Mentre il mondo cambia, l’insistenza per il ritorno alla normalità, alle lezioni frontali “in presenza”, ha il cattivo odore di una rinuncia condivisa a ogni innovazione.

Eppure, mai come in questo momento ci sono le condizioni per un investimento serio, sostenuto dall’Europa. Basterebbe un colpo di reni nella catena di comando, un piano di lockdown che guardi avanti, articolato per territori, che distribuisca autonomia e metta insieme l’ondata di ritorno del Covid 19 con la stabilizzazione delle buone pratiche apprese nei primi cinque mesi di quest’anno. E’ sperare troppo?

© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (21 Luglio 2020)

Addendum…

In onore di Andrea Camilleri, scomparso un anno fa, mi permetto di inserire qui di seguito un secondo testo sulla scuola. Più o meno tocca gli stessi temi del precedente, ma con un taglio diverso. Ho appena finito di leggere il romanzo giallo con il quale Camilleri si congeda dal suo pubblico e dal Montalbano televisivo, quello che vince sempre. E’ un testo amaro, scritto nel 2005 e tenuto da parte, per lasciare un messaggio ai tanti lettori appassionati al rapporto tra realtà e fantasia. Ecco, in suo onore mi confronto anch’io con il mio doppio.

Scarica-barile

Il nostro è un paese di portuali, specializzati nell’arte dello “scarica barile”. Quanto accade nel mondo della scuola è semplicemente assurdo. La scuola è stata la prima istituzione a chiudere i battenti per Covid. Lo ricordiamo bene. A fine febbraio, con la scusa delle vacanze di carnevale, tutti a casa in attesa di un rapido ritorno alla normalità. Pardon… tutti in vacanza a sciare, in attesa di indicazioni da Roma.

Le indicazioni non sono mai arrivate. Parliamo delle indicazioni in positivo, sulla ristrutturazione degli spazi, sulle modalità di ripresa in sicurezza delle lezioni, sul distanziamento dei più piccoli, sulla prevenzione dei possibili contagi e soprattutto sulle conseguenze nella didattica, nell’apprendimento in una scuola che cambia anche grazie al Coronavirus e che va ripensata alla radice.

Fin da febbraio era evidente che l’epidemia sarebbe durata a lungo, e avrebbe reso inutilizzabili i locali superaffollati come le scuole, gli autobus, i bar e i luoghi di ritrovo degli adolescenti.

Tuttavia nessuno fa fatto nulla! In cinque mesi! Da Roma cautela, incertezza, confusione, mancanza di governo. Chiacchiere e (poche) indicazioni di emergenza: distanziamento, limiti e divieti, soldi a destra e a manca, a debito, ma nessuna riflessione seria sulla sostenibilità del sistema scolastico a regime.

Dalla Regione una valanga di conferenze stampa a dimostrare la diversità del Veneto e la sua autonoma capacità di ritornare alla normalità prima degli altri. Illusione! Il commercio è fermo, il turismo langue, le attività industriali resistono in apnea. Nessuna innovazione di rilievo è stata anche solo “pensata” sulla sostenibilità, nella scuola e nella sanità di territorio.

I comuni sono oggi soli, così come i dirigenti delle scuole, davanti al muro della riapertura di settembre, con una sbrancata di straccaganasse in mano. Pochi soldi per la sicurezza delle aule e delle strutture didattiche, nessuno per la rete delle comunicazioni e dei dispositivi digitali, per chi è costretto alla scuola on-line, zero per il personale accessorio alla didattica e alle attività collaterali, come l’alternanza scuola-lavoro, la prevenzione/gestione dei contagi e la sanificazione, l’assistenza ai ragazzi bisognosi di assistenza.

Lo scaricabarile funziona a meraviglia! Perché sono tutti in vacanza, salvo i sindaci e i dirigenti di distretto, con il cerino in mano e le famiglie incazzate alla porta.

Eppure anche questi pilastri del sistema, che sapevano da mesi come sarebbe andata a finire, si sono comportati da perfetti “dipendenti” dello Stato centrale. In attesa di ordini superiori, circolari da contestare in stile sindacale, appelli fatti apposta per rinviare il barile in tribuna.

Se qualcuno di questi però, vuole sfruttare la propria autonomia, lo faccia adesso e chieda i soldi al MES. Oppure taccia per sempre!

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