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09 Luglio 2020 ~ 0 Comments

La crisi della “famiglia-impresa”

Gli osservatori economici sono impegnati a capire come reagiscono le imprese e le banche alla crisi post-Covid. Guardano ai conti, al fatturato e agli effetti delle misure di contenimento a breve: ossigeno per tutti, CIG, prestiti a costo zero.

Tuttavia dovrebbero guardare da un’altra parte. Ai fattori sociali che hanno portato il sistema al capolinea, già prima della crisi in corso. E che rendono illusorio il ritorno a una normalità positiva ante-Covid, che non ha reali prospettive.

I pilastri del sistema che abbiamo conosciuto e apprezzato dal 1980 in poi, soprattutto a Nordest, sono tre: l’organizzazione flessibile, a rete, post-fordista, delle attività produttive (Industria 3.0), la famiglia impresa e la scuola professionale.

Due di questi pilastri sono andati in crisi, al passaggio del nuovo millennio, non tanto a causa dei cambiamenti in corso nel sistema economico globale, quanto per cedimento interno. La famiglia e la scuola, come ha acutamente argomentato, sia pure in modo provocatorio, Luca Ricolfi (nel suo pamphlet sulla “Società Signorile di Massa”) hanno smesso di svolgere funzioni utili alla crescita.

Ricordiamone le caratteristiche.

La famiglia impresa negli anni ’80 e ’90, ha seguito una più che razionale, umile, strategia di allocazione delle proprie risorse. I genitori impegnati sulla strada del mettersi in proprio, hanno orientato le scelte dei figli in modo organico al modello di ascesa sociale: i figli maschi agli istituti tecnici e professionali industriali, le figlie femmine agli istituti tecnici e professionali commerciali e contabili, per sostenere lo sviluppo dell’azienda comune.

Il sistema scolastico, basato sui CFP e su scuole tecniche popolate da docenti di provenienza industriale, ha fatto la differenza, distribuendo competenze di avanguardia, immediatamente operative.

Nell’epoca di Industria 4.0 e della ristrutturazione del capitalismo globale, non solo la famiglia impresa è scomparsa, ma anche il sistema scolastico non è più in grado di offrire le competenze utili a interpretare il cambiamento in corso.

I figli e i nipoti dei piccoli imprenditori rampanti degli anni ‘80 sono oggi accoccolati in una formula familiare che potremmo definire “signorile” (Ricolfi), orientata a massimizzare il rendimento del patrimonio oppure a investimenti che nulla hanno a che fare con la trasformazione del sistema produttivo. Sono affascinati dalla rendita garantita dalla Grande Bellezza. E la scuola non li aiuta a entrare nel mondo del lavoro, grazie a competenze utili alla sua trasformazione.

La voglia di vacanza è sfogo naturale, dopo mesi di quarantena, ma non può e non deve essere scambiata per un nuovo modello di sviluppo, un’alternativa sostenibile alle maniche arrotolate nell’industria, nel commercio e nell’agricoltura.

© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (9 Luglio 2020)

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