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15 Giugno 2020 ~ 0 Comments

La coscienza di Zeno

Non è un fatto personale. Zeno D’Agostino ha coscienza pulita e l’appoggio di tutti. E’ quindi sbagliato cercare nei suoi avversari, i mandanti della ghigliottina azionata da ANAC qualche giorno fa.

Che la strategia di sviluppo del Porto di Trieste, impostata dal manager veronese, fosse poco gradita ai porti concorrenti o a frange di partito ostili a un’alleanza coi cinesi è cosa nota e risaputa. Il fatto grave è che tale strategia sia stata contrastata, non tanto con i mezzi della competizione di mercato o con gli strumenti della politica industriale, quanto con gli strumenti della magistratura.

In altri contesti, nei paesi islamici, anche le decisioni dei poteri economici sono sottoposte alla verifica degli imam tutori della sharia. E’ cosa nota, e poco gradita in Occidente, che un imprenditore in odore di eresia possa essere mutilato o addirittura “fatto fuori” dal sistema, a causa di un dubbio sulla sua lealtà al Corano.

Nel bel libro di storia “Come l’Occidente è diventato ricco” Rosenberg e Birdzell spiegano che il punto di partenza dello sviluppo in Occidente è stato il regime dei comuni italiani, all’interno dei quali la libera iniziativa è stata sottratta al giudizio della Chiesa, e poteva esprimersi attraverso leggi e regolamenti concordati tra cittadini e membri delle gilde.

Sono passati secoli e l’Italia dei comuni nega oggi la sua ispirazione originaria, sottraendo decisioni strategiche al mercato e alla buona amministrazione pubblica e riconsegnando le chiavi de cosiddetto stato sociale (ultimo modello di amministrazione inventato in Occidente) alla magistratura economica, a quella casta indipendente di burocrati che gestiscono il potere assoluto della norma, contro ogni altro potere dello stato e del mercato, e contro le altre magistrature legalmente riconosciute.

Questo è il problema. Come è possibile che siamo arrivati al paradosso che un eccellente funzionario dello stato, che ha dedicato tutta la vita a sviluppare le competenze necessarie ad amministrare bene, in nome della collettività, le infrastrutture di trasporto, venga oggi condannato senza appello da un manipolo di imam che giudicano, non in base ai fatti, ma in base a proprie regole nascoste (nascoste nelle migliaia di pagine illeggibili del codice degli appalti e delle norme anti-corruzione)?

E’ possibile, come ci racconta quotidianamente Sabino Cassese, perché le classi dirigenti del nostro paese hanno investito miliardi di Euro e miliardi di ore lavoro su quel tipo di sistema. Se tutto il tempo dedicato a legiferare e tutto il personale impiegato a timbrar carte, fosse stato impegnato a far ponti o infrastrutture, come D’Agostino, non saremmo il paese che siamo.

Il problema è come cambiare sistema. Come diceva Giovanni Falcone è inutile cercare il terzo livello della Mafia. Il sistema è fatto di sottosistemi che vanno eliminati. Magari gli Stati Generali mettessero all’ordine del giorno questo punto!

© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (15 Giugno 2020)

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