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06 Maggio 2020 ~ 0 Comments

La tragedia del Corona Virus (Fase 2)

MDA

Crisi dello Stato in Occidente

Personaggi protagonisti

Cinesi

Europei del Nord

Europei del Sud

Americani

Atto I°

La Cina esce dalla quarantena. I Cinesi, entrati per primi nella trappola del lock-down, riescono a far ripartire il formicaio. Con cautela, perché il pericolo di un ritorno di fiamma è sempre presente. Lo fanno attraverso un intenso uso dell’ICT, dei telefonini, ma anche e soprattutto di un esteso apparato di controllo del territorio (Piano A – lockdown stretto, eliminazione del virus, riapertura controllata). Gli smartphone, strumento principe del “grande fratello”, svolgono la funzione di passe-partout sui mezzi di trasporto, ai check-point dispersi sul territorio, nei varchi delle aziende e degli stessi supermercati. Tuttavia un esercito di controllori presidia il territorio.

Nel frattempo, in Europa, la diffusione dell’epidemia ha raggiunto tutti i paesi e tutti i territori, del Nord e del Sud, con effetti a macchia di leopardo. Gli stati e i territori più rispettosi della regola del lockdown e del distanziamento sociale (termini nuovi nel lessico dei cittadini europei) si avvicinano al picco (o al plateau) della curva epidemica e attivano (con cautela) la ripresa. Gli stati e i territori meno virtuosi sono invece alle prese con il culmine dei problemi sanitari e sociali indotti dal Coronavirus e rimangono fermi. Gran Bretagna e USA in particolare.

Contrariamente a quanto tutti si aspettavano, la diaspora nazionalista viene sostituita da una sorta di “armistizio” inter-nazionale, per far fronte comune alla crisi. Dopo aver riconosciuto di avere, se non un destino, almeno un “interesse” comune, le diverse nazioni europee si accordano (giovedì 9 aprile) non solo per utilizzare la liquidità della BCE, sostenere l’occupazione e il reddito delle famiglie nella Fase 1, ma anche per usare il MES e altri strumenti di intervento per la sanità post-emergenza e la rianimazione del mercato nella Fase 2. I giornali italiani titolano: “La bilancia perde a Nord”. Ma tirano un sospiro di sollievo.

Gli Americani (e i Brasiliani), arrivati per ultimi all’appuntamento con il contagio, sono ancora nel pieno della (brutta) sorpresa e le loro leadership nazionali vacillano.

La Fase 2 si apre in Occidente nel segno della “sorpresa”, della “impreparazione”, con una reazione ancora nazionalistica/statalista all’attacco del virus. Tutti gli stati seguono il medesimo iter (come nella Fase 1). Passano dalla cauta riapertura delle attività produttive, alla creazione di nuove regole di distanziamento sociale e commerciale, verificano i dispositivi di allerta, pronti a bloccare i nuovi focolai fin dalla nascita, senza pensare, come la Cina, di attivare un dispositivo forte di controllo del territorio, delle persone e delle imprese. Seguono a ruota il Piano B (lockdown morbido, convivenza con il virus, riapertura lenta a seconda del sistema statale – vedi Atto III°). La differenza la fa il carattere dello Stato e l’efficienza manageriale della PPAA di ciascun sistema paese. Germania e Svezia un po’ meglio degli altri, Italia e Spagna in coda al gruppo.

I pregiudizi nei confronti della Cina rimangono immutati (il Piano A ci piacerebbe, perché funziona, ma non è culturalmente e politicamente adottabile in Occidente) e il trade-off tra tutela della salute e riattivazione del mercato diventa la base di conflitti sociali crescenti.

Gli Americani perdono autorità morale, soprattutto a causa di Trump, e non sono più in grado di offrire un modello di Stato e di federazione interessante per i paesi europei. La reazione di “pancia” è l’apertura di un conflitto ideologico con la Cina, accusata di aver lasciato scappare il virus dal laboratorio di Wuhan. Non solo Trump, ma anche il premio Nobel Montagner avvallano l’ipotesi, montando un velo di diffidenza verso la Cina che cerca di nascondere le drammatiche contraddizioni del Piano B, in Occidente.

Gli Europei del Sud sono alle prese con la ristrutturazione delle funzioni statali rinviata per anni, ma non trovano nelle istituzioni europee e negli USA linee guida convincenti, come dopo la Seconda Guerra mondiale (quando il “Piano Marshall” ha promosso una nuova cultura organizzativa nell’industria e importanti obiettivi di produttività). Tengono il modello cinese a “distanza di sicurezza”. In una fase in cui il mercato “fallisce”, avrebbero bisogno di cambiare le istituzioni nate per regolare la libertà dell’individuo, secondo la narrativa del Far West americano, ma non riescono a farlo. Sono in mezzo al guado di una formula ibrida statale/federale che non funziona (risultato di un compromesso tra istituzioni centraliste/corporative rigide – di stampo fascista e franchista, e istituzioni regionali, autonome flessibili, ma di stampo secessionista). E hanno a che fare con una classe dirigente incompetente e sovranista (come quella greca del 2009) che blatera di contributi a pioggia (helicopter money) male interpretando la filosofia di Keynes e i problemi del debito.

Gli Europei del Nord sono invece contenti del proprio ordo-federalismo, che vorrebbero estendere all’intera Unione (vedi discorso della Merkel il 24 aprile 2020). Premono sull’acceleratore di un sistema di controllo della BCE e del debito sempre più stretto (vedi la sentenza della Suprema Corte di Karlsruhe del 5 maggio 2020).

Atto II°

L’Europa resta spaccata (tra Paesi del Nord e Paesi del Sud), non tanto sul tema della convivenza col virus e della necessità di un lockdown (limitazione della circolazione delle persone e delle merci, ritorno dei confini e dei territori) quanto sulle regole della Fase 2, sull’interpretazione del Piano B, che molto dipende proprio dalla forma dello Stato (e del sistema bancario) più che dal mercato.

Le fazioni sono due:

  • quella del “rigore”, del coordinamento istituzionale ordinato e dell’intervento pubblico nell’economia (prevalente in Germania, Olanda, Svezia, Danimarca, ma anche nei paesi di Visegrad, sia pure in modo distorto) e di un’amministrazione keynesiana “nobile”, fatta di manager pubblici capaci e di pianificazione degli investimenti, per mettere al lavoro i disoccupati, con obiettivi di innovazione e rilancio del sistema;
  • quella del “ognun per sé”, del disordine e del conflitto sociale e istituzionale anche in economia (prevalente in Italia, Spagna, Grecia, Francia + UK), fatta di leader politici sovranisti/rivendicativi, senza competenze manageriali adatte a pianificare investimenti (pubblici e privati), che interpretano la ricetta keynesiana in una chiave “stracciona”, promettendo contributi a pioggia, a fondo perduto, e redditi “regalati” (senza impiego e senza innovazione), a spese dell’Europa.

L’accordo del 24 aprile 2020 sigla l’armistizio tra le due fazioni (provvisorio e traballante, ma comunque positivo). Esso assicura agli Europei del Nord che non dovranno pagare i debiti (senza controllo) degli Europei del Sud, mentre assicura agli Europei del Sud costi molto bassi sul nuovo debito, che esplode per i provvedimenti di sostegno caotico al reddito delle imprese e delle famiglie e soprattutto per il conflitto istituzionale tra centro e periferia.

Il compromesso esplicita la crisi politica dell’Unione, perché lascia liberi i diversi paesi di seguire un modello di intervento pubblico divergente: i paesi del Nord (formiche) avranno un minimo comun denominatore (mercato unico), con ampia autonomia degli interventi statali; i paesi del Sud (cicale) potranno sfuggire i vincoli della Troika, attutire i conflitti tra regioni e componenti della loro società interna (più o meno “signorile”); potranno anche procrastinare le inefficienze dell’apparato statale (e bancario) antiquato, ma potranno pagare lo scotto delle mancate innovazioni, solo nel medio-lungo termine (prendono tempo).

Le due posizioni non sono nette, perché all’interno di ciascuno dei due blocchi i cittadini sono divisi tra “rigoristi/innovatori” e “lassisti/conservatori” e si fronteggiano apertamente (come ai tempi dei Guelfi e dei Ghibellini), con una tendenziale prevalenza dei lassisti sugli altri.

In Grecia e il Portogallo, a dire il vero, il “vaccino sociale” indotto dalle politiche del MES e della Troika (post-2009), aumenta la tensione a rispettare le regole e la possibilità di attuare un Piano B su modello tedesco. Spagna, ma soprattutto Italia (che non sono vaccinate alle politiche di rigore, perché non hanno ancora visto tagliare le pensioni, come in Grecia, e vivono secondo le regole di una società “signorile di massa”), faticano a trovare l’accordo interno e sono scosse da conflitti crescenti tra regioni e categorie di imprese e di cittadini. Si avviano a un Piano B fortunoso, affidato soltanto al calo di virulenza del COVID 19.

Gli Europei del Nord, capitanati dalla Merkel (e soprattutto dalla Corte Suprema di Karlsruhe), gettano il guanto di sfida agli Europei del Sud, pretendendo trasparenza nella gestione dei fondi (implicitamente mettendo sotto tutela gli stati nazionali improduttivi / e le classi dirigenti estrattive – vedi la nota tesi di Acemoglu e Robinson – Why Nations Fail?). Gli Europei del Sud incassano.

Cinesi e americani (con i primi in vantaggio sui secondi grazie ai risultati raggiunti con il Piano A) non sono in grado di rilanciare l’economia globale e senza l’Europa non sono neppure in grado di trovare né un accordo.

Le tre donne al comando del Vecchio Continente (Lagarde, von der Leyen e Merkel), e soprattutto la Merkel, questo lo capiscono e cominciano a muoversi di conseguenza.

La Fase 2 è la fase dell’attesa. Mentre i “bazooka” convenzionali (di mercato) dimostrano la propria inefficacia e gli esperti di ripresa (e di mercato) dimostrano di non avere ricette pronte, nessuno parla più di Piano Marshall, di Green New Deal e neanche di Bretton Woods (formato G4), perché ciascuna delle federazioni globali in gioco (USA, UE e Cina + lo spettatore Giappone), resiste aggrappata al proprio “ancien régime”, nella speranza di “tornare a una normalità”, pre-Coronavirus, che non ritorna.

Con il mercato globale è entrato in crisi un sistema “Statale/Federale” (neo-liberale anche in Cina) che non è capace di pianificare e organizzare l’economia, non sa governare il sistema sociale di cui è ostaggio (che utilizza lo Stato come strumento di favore a specifiche categorie, via lobby) e non sa, soprattutto, come far ripartire il mercato, in una nuova dimensione globale post-liberista.

Atto III°

Default e insicurezza da “depressione”. La metafora dell’helicopter money guida l’azione dei paesi Occidentali. A parte la classe dirigente tedesca (come già detto educata ai principi della Mitbestimmung, della Große Koalition, del Bilancio Pubblico in pareggio e soprattutto dell’Ordo-Liberalismus), la maggioranza dei leader Occidentali sembra credere alla versione “stracciona” delle teorie di Keynes (versione pasticciata con il monetarismo di Chicago) e pensa giusto e possibile “distribuire fondi” di emergenza nelle casse delle famiglie e delle imprese, anche senza un piano di sviluppo a medio termine.

A questo punto gli Europei si dividono tra “apparenti fortunati” (quelli che ricevono il contributo statale in busta paga) e “apparenti sfortunati” (quelli che attendono l’arrivo di fondi pubblici solo alla fine di una lunga trafila clientelare e burocratica).

Dopo l’iniziale sollievo per l’attenuarsi della pandemia, e un accenno di ripresa verso l’estate, i paesi del Sud (con un sistema pubblico peggiore degli altri, a misura della società “signorile di massa”) vedono crescere la pressione dei mercati, alla ricerca di compensazioni adeguate allo “spread” di riforme e di efficienza nazionale. Dopo lo “stop” della Suprema Corte tedesca, il processo di convergenza costruito dalle “tre donne” dell’Europa subisce una battuta di arresto.

Italia e Spagna entrano in un cono d’ombra e trascinano con sé perfino la Francia, mentre Grecia e Portogallo si smarcano dal Piano B straccione. Nel momento in cui la debolezza strutturale del Sud diventa palese, lo spread ricomincia a risalire, per Italia e Spagna, nonostante gli interventi della BCE. E gli equilibri in Europa tornano ad essere precari.

Italia e Spagna sono nella condizione peggiore, proprio perché non dispongono di un sistema politico all’altezza e sono in mezzo al guado di riforme istituzionali e organizzative per troppo tempo rinviate. Sono inoltre condizionate da un sistema economico troppo dipendente dalle esportazioni e dal mercato globale. Il turismo, ad esempio, non è in grado di riprendersi in fretta (Grande Bellezza da una parte e Costa del Sol dall’altra, senza flussi globali, valgono 15 punti di PIL, in negativo). Il settore manifatturiero resiste nelle filiere trainate dalla Germania, ma fatica a decollare nel Made in Italy, nell’agro-alimentare dello Slow Food e degli ulivi iberici (comunque vincolati al tema dei beni idiosincratici – consumabili sul posto). L’Italia perde colpi nella stessa produzione di macchinari e impianti, a causa delle crisi globale protezionista.

I conflitti tra regioni raggiungono un apice dopo la riapertura della Fase 2, perché la ripresa è a macchia di leopardo (o meglio di gattopardo) e non si basa sul mercato. Lo Stato inefficiente è ostaggio dei corpi intermedi e delle regioni e prigioniero di una classe politica incompetente, scossa da conati di populismo (a destra) e inconsistenza (a sinistra).

L’insicurezza da depressione si diffonde nei paesi più deboli, soprattutto tra le PMI del commercio e del terziario, abituati a lavorare a rimorchio dello Stato “estrattivo” (ultimo residuo dei PIGS). E’ la concezione della società, come “signorile di massa” che va in pezzi davanti al muro del debito sovrano. Tensioni inedite scuotono le classi dirigenti dei due paesi, e della Francia, che entrano in una fase di profonda depressione politica e istituzionale, prima ancora che economica, e iniziano la traversata del deserto verso nuovi orizzonti di amministrazione e organizzazione produttiva (pubblica e privata).

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