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06 Maggio 2020 ~ 0 Comments

Sperimentare il futuro

Ci siamo. Da oggi siamo chiamati a “inventare” il nostro futuro nella pratica quotidiana. Non abbiamo un vademecum generale che ci aiuti a evitare il contagio e a rilanciare l’economia. Allo stato degli atti, ci muoviamo in ordine sparso, con le stesse regole della Fase 1: distanziamento sociale, mascherina, guanti e frequenti procedure di disinfezione.

Nessun comitato scientifico, nessun governo, può aiutarci a immaginare il futuro di cui abbiamo bisogno. Siamo noi che dobbiamo costruirlo, giorno per giorno, direttamente sul campo, imparando a sviluppare una nuova economia, nelle imprese, nei distretti e nei territori meglio organizzati. Dal centro e dalle autorità regionali non potranno arrivare indicazioni precise.

E’ dunque dal nostro comportamento e da quanto sapremo imparare nei prossimi mesi che emergerà un’idea condivisa dell’unico futuro sostenibile, in crescita e senza contagi. Ma, per procedere, abbiamo bisogno di una nuova cultura organizzativa. E di una classe dirigente meno arroccata nella filosofia dei due tempi: pausa, denaro a pioggia, a breve; ritorno alla normalità, a medio-lungo.

Abbiamo bisogno di un paradigma adatto all’innovazione. Se il futuro non arriva per decreto, dobbiamo prenderci la libertà di sperimentare a livello locale. E, quando avremo sperimentato nuove soluzioni, potremo valutare se esse siano veramente desiderabili o debbano essere, più o meno radicalmente e rapidamente, aggiustate.

Non c’è alternativa. Dobbiamo accettare di procedere con uno schema “middle-up-down”. L’unico compatibile con l’innovazione. Esso prevede azioni locali di avanscoperta (da parte di pochi esploratori), un feedback rapido e intelligente (al vertice) e la distribuzione di norme condivise (giù in basso), solo alla fine.

Abbiamo bisogno inoltre, come l’aria, di un nuovo stile di rappresentanza: meno grida e più competenze; meno protesta a vuoto, nei partiti e nelle istituzioni, e più spirito di ricerca e sperimentazione sul campo. Spiace dirlo, ma nei due mesi di quarantena non abbiamo visto emergere un gruppo dirigente adeguato alla Fase 2. Commissari che non sanno comprare le mascherine e leader politici che non abbandonano la voglia di normalità, quella scoraggiante del pre-Coronavirus.

Far ripartire il mercato, fermo in tutti i territori del mondo, trovare nuove linee di attività a valore aggiunto, è un problema complesso, che l’Italia non ha mai trovato sul suo cammino. Ricostruire la fiducia distrutta, rimettere al lavoro le persone, anche solo a scavare buche per riempirle di nuovo (come diceva Keynes), richiede competenza, visione e organizzazione. Uno spirito imprenditoriale e manageriale a tutti i livelli, che oggi manca. Dobbiamo trovarlo da qualche parte. E in fretta. O non ce la faremo.

© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (Mercoledì 6 Maggio 2020)

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