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Ricostruzione: 26 aprile 2020 vs 26 aprile 1945

“… la sorte è stata decisa per opera del popolo stesso, unanime nel desiderio e nell’ansia, attraverso l’ancora oscuro travaglio e sacrificio di molte migliaia di cittadini che a rischio di carcere, di deportazione, di supplizi e di morte non si sono stancati di spandere la semente.” Così scriveva Dino Buzzati, nel suo editoriale, sul Corriere del 26 Aprile 1945.

A 75 anni di distanza il popolo italiano vive una situazione analoga. Dopo anni di sofferenze, contrasti e incertezze, la crisi del Coronavirus ha finalmente suonato la campana dell’ultimo giro: o si cambia oppure è davvero finita per sempre. Il sogno di una ricostruzione straordinaria del sistema paese si infrange nella confusione generale e nell’incertezza. Il destino è di nuovo nelle mani del popolo.

Proprio ieri, Festa della Liberazione “a distanza”, un altro editorialista del Corriere ha elencato, nel suo commento sul futuro della nazione in Europa, una serie di punti da rispettare, senza i quali non ce la facciamo. E’ Federico Fubini. Non è usuale citare un giornale concorrente, ma in un contesto di emergenza, come l’attuale, è giusto riconoscere il filo di un ragionamento che va ripreso per arrivare a costruire un’agenda condivisa.

Qual è il punto? Qual è il problema chiave della “ricostruzione” che abbiamo davanti?

Il problema vero è che sui banchi della maggioranza e del governo, ma anche dalla parte dell’opposizione, non c’è una classe dirigente all’altezza. Arrivano soltanto voci confuse, chiacchiere senza senso sul MES, rinvii e scarse indicazioni concrete sul percorso della ripresa o della ricostruzione. Il popolo deve trovare da solo, attraverso la discussione civile, il bandolo di una matassa difficile da sgarbugliare.

Non si può parlare ancora di Fase 2, come di un periodo transitorio alla fine del quale tutto torna come prima! La normalità pre-Coronavirus era ed è “insostenibile” per il sistema Italia, sia dal punto di vista economico, che dal punto di vista ambientale e sanitario.

Bisogna dunque parlare più seriamente di ricostruzione, perché se è vero che il lockdown non ha prodotto distruzione di capitale fisico e morale, è pur vero che l’Italia esce con le ossa rotte da vent’anni di Seconda Repubblica, durate la quale i risultati del miracolo economico e dei distretti, i risparmi e il patrimonio accumulato dalla generazione del dopoguerra, sono andati progressivamente distrutti.

Bisogna rifare le scuole, inutilizzabili per la didattica del futuro, oltre che insostenibili dal punto di vista energetico e sismico. Bisogna rifare lo Stato, perché la macchina organizzativa degli uffici pubblici non funziona. Bisogna rammendare il tessuto produttivo che non raggiunge livelli adeguati di produttività e valore aggiunto.

Senza una classe dirigente che condivida questo percorso e il consenso degli italiani non ce la possiamo fare.

© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (Domenica 26 Aprile 2020)

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