Home » MDA » Bisogna prendere la Cina sul serio

10 Aprile 2020 ~ 0 Comments

Bisogna prendere la Cina sul serio

MDA

(Contributo a LIMES Digital Edition – 10 Aprile 2020)

1. L’urgenza di un “vaccino sociale”

La crisi indotta dall’epidemia da Coronavirus sta ponendo sfide del tutto nuove ai sistemi sanitari, amministrativi ed economici dei paesi occidentali.

Durante le ultime settimane, tutti i governi d’Occidente hanno sottostimato la dimensione dei cambiamenti necessari per far fronte all’emergenza. Tutti hanno riconosciuto tardi l’importanza del cosiddetto “distanziamento” sociale, come arma fondamentale nella guerra al virus, la necessità di introdurre misure draconiane per evitare il contagio e la cascata di provvedimenti conseguenti nell’economia e nell’amministrazione.

Al contrario la Cina, “vaccinata” dalle esperienze pregresse dell’influenza aviaria e della SARS, dopo un iniziale momento di sbandamento, ha trovato il modo di reagire rapidamente e in modo efficiente alla crisi, riuscendo a ridurre l’esplosione dei contagi e a confinare gli effetti peggiori, anche economici, a un’area delimitata della federazione. Questo è successo non solo perché i cinesi sono preparati, culturalmente, ad accettare il distanziamento come tecnica di contrasto alle epidemie, ma anche perché un intervento d’autorità dello Stato non li ha sorpresi.

In Europa e negli Stati Uniti non è stato così.

Esplorare le differenze di comportamento tra sistemi federali molto diversi tra loro, può essere utile, per produrre un “vaccino sociale” utile a superare l’emergenza.

Scopo della presente analisi è trarre ispirazione dall’esperienza cinese, più di quella coreana, per costruire modelli di reazione efficienti in Occidente. Prendere la Cina sul serio, significa andare oltre le logiche nazionaliste e sovraniste, di piccolo paese, che non servono per affrontare la crisi ai vari livelli in cui si manifesta[1].

2. La nuova crisi globale

Nelle ultime settimane è stata spesso evocata la contraddizione tra guerra al Coronavirus e ripresa economica. La priorità data agli obiettivi sanitari sta producendo conseguenze sull’economia, più gravi e dannose, nel medio termine, dei benefici offerti alla salute pubblica a breve.

Dal dilemma è possibile uscire solo in due modi: attraverso un’innovazione, che consenta di mettere insieme i vantaggi dell’isolamento, con lo sviluppo del sistema economico, oppure attraverso un “compromesso” che minimizzi le perdite. Ma se è vero quello che dicono molti analisti, e cioè che la curva di uscita dalla crisi attuale non sarà a “V”, ma probabilmente a “L”, solo l’innovazione ci salverà.

Come possiamo dunque affrontare il tema della “ripresa”, dopo l’inevitabile tonfo di questa prima parte dell’anno e, soprattutto, quali innovazioni dobbiamo introdurre per far fronte alla recessione?

A queste domande è inutile cercare una risposta nella linea del compromesso, della pausa di sospensione. Bisogna individuare le attività che si possono attivare per prime, perché mettono assieme l’esigenza del distanziamento sociale e la ripresa ordinata e graduale della produzione, su scala locale, per filiere e in modo graduale.

Due esempi.

La scuola o l’erogazione di servizi culturali. In questo caso, sia pure con qualche limitazione, è possibile potenziare le tecnologie che consentono di mantenere attiva la produzione. Possiamo immaginare sistemi di e-learning permanenti e di interazione nella comunità degli studenti e dei discenti che non contraddicano la logica del distanziamento sociale. Siamo solo all’inizio, ma su questa strada milioni di persone si sono già incamminate e possono sviluppare nuove specifiche soluzioni.

La produzione di macchine. In questo caso, previa revisione dei processi di logistica delle merci e delle persone, è già possibile proseguire. Basta che il personale coinvolto nelle linee di montaggio e installazione abbia a disposizione mezzi di trasporto e strumenti di igiene personale all’altezza del virus e si intensifichi l’introduzione di robot e sistemi di gestione 4.0. Anche su questo fronte è possibile sviluppare procedure specifiche, anche con l’appoggio delle pubbliche amministrazioni locali, che aiutino la ripresa.

Dobbiamo ragionare come se, questa volta, non sia possibile riprendere il percorso di crescita “as usual”, anche perché le infezioni virali, come i danni da Climate Change, si ripeteranno e non faranno caso ai confini nazionali e continentali anche in futuro.

Dobbiamo sviluppare uno schema di cooperazione che superi la logica degli stati nazione e delle tradizionali federazioni inter-nazionali, oppure non saremo in grado di venire a capo dei problemi di interazione con le altre specie viventi, con il Pianeta, con il complesso di relazioni che serve ad amministrare una comunità umana di dimensioni globali.

3. Bisogna prendere la Cina sul serio

Per impostare azioni “non convenzionali” in Occidente è utile lavorare con intelligenza sull’esempio cinese, perché mette in tensione la nostra capacità di amministrare con ordine e di innovare. Riassumiamo la sequenza dei fatti.

Atto I°

Outbreak. Le Autorità della Provincia di Hubei hanno scoperto il focolaio e hanno sminuito l’importanza dell’epidemia, sia perché impegnate nella competizione con altre province, sia per evitare crisi di panico. Per fortuna, i Cittadini di Wuhan hanno attivato esperienze di cittadinanza attiva e si sono scontrati con l’establishment provinciale. Un medico “attivo e responsabile” ha capito la natura inedita del Corona Virus, esponendosi alla repressione del regime semi-democratico in cui vive, ma è riuscito ad allertare altre province e le Autorità Centrali.

Atto II°

Lock-down. Le Autorità Centrali hanno messo in atto procedure draconiane di limitazione della libertà personale. Hanno isolato l’Hubei, attivando un immediato potenziamento delle risorse ospedaliere (il nuovo ospedale di Wuhan – 1.000 posti letto, è allestito in 10 giorni). Tali procedure sono state coerenti non tanto con la matrice autoritaria del governo cinese, quanto con il “vaccino sociale” (modello di intervento condiviso dai cittadini) sviluppato ai tempi dell’aviaria e poi della SARS. I cittadini si sono piegati, non tanto perché sudditi di un governo dispotico, quanto perché culturalmente allertati allo schema dell’emergenza (prima distanziamento sociale, poi intervento di cura).

Atto III°

Solidarity. A fianco della limitazione delle libertà personali nelle aree focolaio, la Cina ha attivato un gigantesco sistema di assistenza e solidarietà tra Province e filiere produttive nazionali (e locali). La compresenza di sistemi di mercato e sistemi di gestione statale, ha reso possibile non solo un buona integrazione tra imprenditori privati e Pubblica Amministrazione (ad esempio le università, gli ospedali e l’esercito), ma anche una corretta selezione delle filiere da mantenere attive e filiere da fermare.

Paradossalmente, a fianco dello schema “competitivo” tra Province, le Autorità Centrali cinesi sono riuscite a mettere in campo un dispositivo di emergenza economica che nulla ha a che vedere con lo schema dell’economia di guerra (tutti contro tutti) che vediamo in Europa. Wuhan e la Provincia di Hubei hanno ricevuto gli “approvvigionamenti” da altre Province e non sono state costrette a coltivare patate e a produrre mascherine al proprio interno.

Atto IV°

Recovery. La Cina non ha adottanto un Piano Marshall per la ripresa. Ha cercato di riattivare la produzione, con molta cautela e molti limiti (per non importare di nuovo l’infezione), puntando a ricreare fiducia tra i cittadini e i piccoli imprenditori. I più colpiti dal fermo delle attività. Ha usato uno schema di governance gerarchico, statale, a fianco del mercato, per rilanciare l’economia. Ha introdotto innovazioni, imparando dalla Corea, come il controllo sanitario via smartphone e la moltiplicazione dei posti di blocco.

Cosa è arrivato in Europa o in America della vicenda cinese? Poco. Perché, a differenza del caso coreano, l’esperienza cinese è stata giudicata non interessante e non trasferibile in Occidente. I governi occidentali si sono privati di un importante vaccino, che avrebbe consentito loro di reagire in modo più efficace all’attacco del virus, e hanno preferito ripetere, ognuno per conto proprio, gli errori degli altri.

4. Conclusioni

La chiusura delle frontiere e dei flussi di esportazione, sta oggi provocando un collasso generale delle attività economiche in Occidente, che in Cina non si è verificato, perché, in quel sistema di “Province” coordinate dal centro, il mercato è stato affiancato da un’economia statale, di guerra, che è intervenuta con scopi solidaristici (nella produzione di mascherine, attrezzature sanitarie e di controllo del territorio e altri beni essenziali).

In Europa e negli USA le autorità federali (di matrice neo-liberale) non si sono preoccupate di verificare l’impatto della crisi (sanitaria e produttiva) nelle diverse filiere (supply chain) e di costruire un sistema di solidarietà in alcuni settori portanti.

Alcuni segnali in controtendenza stanno affiorando, dopo la propagazione del virus. E tuttavia i paesi occidentali continuano a dare risposte “convenzionali” alla crisi che hanno di fronte. Confidano nella forza del mercato e non pensano in termini di innovazione, come suggerito all’inizio di questa riflessione.

Nulla di simile a Bretton Woods è all’orizzonte, nulla di simile al Piano Marshall. Le autorità federali si limitano a ripetere le ricette applicate durante la crisi del ’29 e del 2008, senza modificare neppure la loro implementazione, in ragione delle mutate condizioni di contesto.

A noi cittadini non resta che trattenere il fiato e sperare.


[1] Ai lettori che non abbiano confidenza con il metodo dell’analisi comparata, di strutture sociali e culturali in paesi diversi, e non abbiano letto il bel libro di Ronald Dore, Bisogna prendere il Giappone sul serio (1987), voglio ricordare che il riferimento alla Cina è un espediente utile a riflettere sulla nostra condizione di occidentali, di fronte alla crisi attuale, e non l’invito a importare in Occidente la reazione cinese all’invasione del Coronavirus, come modello.

Leave a Reply