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02 Aprile 2020 ~ 0 Comments

Veneto laboratorio per la ri-partenza

Il Veneto può essere un laboratorio della ripresa. Può esserlo per due ragioni: perché è stata la prima regione a entrare nel tunnel dell’epidemia e perché, grazie al percorso scelto per combattere il Coronavirus, sarà probabilmente la prima regione bonificata, pronta a uscire dal lock-down più stretto.

Lo shock esterno ha messo a dura prova le regole sociali e produttive dei cittadini, degli imprenditori e dei dipendenti, accomunati dall’etica del lavoro e dall’affezione all’impresa. La reazione è stata nervosa, ma la comunità regionale ha compreso bene la logica del “distanziamento sociale”.

A differenza della Lombardia, il Veneto non ha concentrato i malati COVID19 nelle strutture ospedaliere e ha interrotto in tempo i flussi del “formicaio” distrettuale, che sono la prima causa di contagio. Quando Zaia ha dichiarato l’intero Veneto “zona rossa” e annunciato la chiusura domenicale dei supermercati, ha fatto la cosa giusta, inoculando tra i cittadini il “vaccino sociale” del distanziamento.

Questo ha impedito l’esplosione incontrollata dell’epidemia, ha ridotto i rischi del sistema sanitario (pure in forte difficoltà) e soprattutto ha attivato un sistema di relazioni coerente con il quadro introdotto dal virus, nel territorio. Se il virus è entrato nel corpo sociale e i rischi di contagio durano mesi, la società deve acquisire abitudini nuove. Sennò non riparte. E per ripartire nel modo giusto, non deve ragionare nei termini di un ritorno alla normalità, ma continuare a sviluppare innovazioni.

I veneti sembrano averlo capito prima di altri e possono quindi avviare il percorso di ri-apertura e ri-costruzione lungo sentieri nuovi.

E’ giusta quindi la proposta di Variati. Bisogna iniziare subito a studiare i modi e i tempi di un rilancio delle attività produttive nelle diverse filiere, nei distretti e nei territori. Ci sono tuttavia due condizioni da rispettare. La prima è che Variati e Zaia non inizino una corsa “politica” a rappresentare la rabbia, ma raggiungano un accordo di cooperazione, per costruire risposte concrete nei distretti e nel territorio. La seconda è che riescano a scegliere gli interlocutori adatti a disegnare una strategia per il futuro.

Probabilmente non devono limitarsi a chiamare a raccolta i rappresentanti delle categorie produttive. Devono coinvolgere altri soggetti importanti, che hanno un ruolo di “mediazione” nel conflitto tra obiettivi sanitari e obiettivi di produzione, nel territorio, perché godono della fiducia dei cittadini. Questi soggetti sono i sindaci, che svolgono oggi la funzione di ago della bilancia tra imprese e famiglie nel territorio.

I sindaci però devono adottare un profilo manageriale e definire linee di azione e interazione che seguano il profilo del territorio come entità “produttiva” e non “politico-amministrativa”.

© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (Giovedì 2 Aprile 2020)

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