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26 Marzo 2020 ~ 2 Comments

Economia di guerra

Con la chiusura delle attività produttive non essenziali, la strategia di guerra al virus cambia radicalmente. Quando medici, letti e ventilatori per gli ammalati più gravi scarseggiano, è il momento in cui il cuore della battaglia deve spostarsi dalla trincea tecnica degli ospedali alle retrovie del paese civile. E va combattuta con un nuovo quadro mentale, in modo diretto, da tutti i cittadini.

Se la guerra diventa un problema sociale, non tecnologico o medico o di una specifica categoria di professionisti, bisogna mettere nelle mani di tutti i cittadini le armi e le conoscenze necessarie a combattere nella stessa direzione. Il quadro mentale dell’economia di guerra è una prima arma essenziale.

Economia di guerra significa sospensione dei mercati, di alcune libertà personali e trasformazione della linea di comando in un flusso gerarchico indiscutibile.

Questa è la sfida eccezionale che la nostra società si trova davanti, perché non è abituata a rispettare ordini e disciplina. Preferisce negoziazione e mercato. E’ la grande differenza tra società occidentale (mediterranea in particolare) e società orientale (cinese in particolare, ma anche coreana e giapponese). E può fare la differenza, proprio nella guerra al Coronavirus. Dobbiamo farcene una ragione. Con la disciplina si vince la guerra, con il mercato si perde.

Dunque dobbiamo, tutti, ragionare su un altro canale. I cittadini, accettando le limitazioni della libertà personale, in cambio di informazioni e spiegazioni esaurienti. Gli imprenditori e gli investitori, accettando l’interruzione dei normali mercati e delle modalità ordinarie di fissazione dei prezzi, in cambio di ordini chiari sulle quantità da produrre e sulle compensazioni. I dirigenti politici, accettando di ridurre le esternazioni sui social e cambiando modello di confronto, in Parlamento e nelle agenzie speciali di intervento (tipo Protezione Civile).

Non ci devono essere cadute di stile! come i soldi buttati in Alitalia mentre mancano le mascherine o il click day evocato dal presidente dell’INPS per l’indennizzo agli autonomi. Perché il nuovo schema funzioni, non ci devono essere dubbi sulla catena di comando. E questa deve essere quindi rafforzata attraverso provvedimenti eccezionali.

La cooperazione a distanza, televisiva, tra autorità locali, riconosciute dal popolo, e autorità nazionali, che mediano al centro, non è sufficiente. Bisogna pensare a qualcosa di più coeso, a una sorta di Consiglio di Guerra, che coinvolga i leader amministrativi locali, nella gestione delle filiere ex-di mercato, sotto la direzione di persone riconosciute, autorevoli e competenti. Un solo esperto a guidare la filiera alimentare, uno per mascherine e ossigenatori nella filiera della salute, uno nella logistica dei trasporti internazionali.

Può sembrare troppo, ma non lo è.

© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (Giovedì 26 Marzo 2020)

2 Responses to “Economia di guerra”

  1. Sperotto Fiorenzo 27 Marzo 2020 at 04:27 Permalink

    Condivido ampiamente l’impostazione del discorso.
    Giustamente poni il problema delle diverse culture, e questo e’ un punto che presenta importanti sviluppi.
    Provo brevemente a indicare i momenti salienti.

    La cultura delle illimitate liberta’ personali e’ stata il substrato sul quale si sono fondate da un lato le teorie neoliberiste da Tatcher e Reagan in avanti, e dall’altro, le strategie dei processi di globalizzazione degli anni piu’ recenti. Essa dunque ha funzionato e rimane il mainstream, il mantra.

    A questo mantra i governi occidentali hanno sacrificato – in misura diversa in verita’- le componenti del welfare state, vale a dire le espressioni istituzionali dei diritti sociali che, appunto, si contrappongono alle favolette del mantra suddetto e in particolare all’idea che nella negoziazione i soggetti siano equipollenti.

    La cultura del blocco post sovietico, con la Russia in testa, non ha invece recepito questo mantra. Questo significa che la negoziazione e’ rimasta – in continuita’ con la tradizione sovietica, nonche’ pre-rivoluzionaria – concetto e pratica discreditata, perche’ basata su premesse socialmente non condivise. Lo straordinario consenso popolare di Putin diviene meglio comprensibile da questa angolazione. La concentrazione dell’autorita’ continua a rappresentare nella percezione popolare la fattiva presenza di un soggetto super partes che garantisce la sintesi finale degli interessi della parti. E data la struttura altamente stratificata della societa’ post sovietica questa sintesi appare salvifica alla stragrande maggioranza della popolazione che occupa i gradini bassi della scala sociale.

    Queste premesse, questo breve excursus, mi servono per tornare al tuo tema e ai tuoi interrogativi.

    Ne concludo che, paradossalmente – ma su questo vedi Tronti e i lavori del CRS – proprio la struttura decisionale accentrata consente a questi Paesi di mantenere una forte, positiva interazione con il popolo. Non che le imprese siano dimenticate: esistono imprese di rango federale, cui si riconosce impatto sistemico, e inoltre zone speciali, parchi scientifici e tecnologici, ecc. Voglio dire che non e’ che corpi intermedi e soggetti istituzionali, pubblici e privati, non partecipino al deal, ma i due soggetti che definiscono le caratteristiche dell’autorita’ e le sue pratiche sono il popolo e la sua sintesi.

    Ancora prima del Coronavirus, e naturalmente mi riferisco alla crisi del 2008, risale nelle narici l’odore di bruciato attorno al modello neoliberale e al suo mantra. Negazione della necessita’ di interventi, esaurimento rapido della leva finanziaria. E monotonica insistenza sulla crescita di un’unica componente della domanda aggregata: le esportazioni.

    Il fiscal compact che ci ha accompagnato in questi tremendi anni di una crisi che e’ rimasta la’ dov’era nel 2008 ha dimostrato, sulla pelle dei Greci, non solo impotenza – sarebbe cosi’ se non avessimo altre ricette note – ma cinismo e barbarie. L’idolatria per le esportazioni ha comportato l’esaurimento di ogni politica di concertazione nazionale dei redditi. A chi esporta conta molto di piu’ che crescano i redditi dei Paesi importatori, mentre il reddito dei connazionali si trasforma inevitabilmente in una componente dei costi, non della domanda effettiva.

    C’e’ dunque tanto lavoro da fare, e come si dice siamo qui a discuterne per questo.

    Sono sicuro che oggi il vento tira nella direzione giusta e questo aiutera’.
    Bisogna rilanciare le altre componenti della domanda aggregata, in primis i consumi nazionali, cioe’ i redditi delle famiglie. Quanto suggerisci sulle filiere mi sembra molto giusto. Siamo pieni di market failures e di questo bisognera’ tener conto. Nessuno meglio degli implementers conosce i problemi e sa disegnare le soluzioni.

    Chiediamo al PM e al governo coraggio, cioe’:
    (a) appoggio politico agli esperimenti sulle priorita’ nazionali
    (b) strumenti fiscali, non monetari, allo sviluppo
    (c) battaglia culturale contro il neo liberismo ed il fiscal compact

    E vedrai che il popolo rinascera’ attorno alla qualita’ e al coraggio della proposta politica – se sara’ socialmente condivisa. Questa e’ un’occasione unica direi.

    • Paolo 27 Marzo 2020 at 17:28 Permalink

      Molto utile. Registro il tuo contributo e lo rendo visibile ad eventuali altri lettori. Molto pochi per la verità, perché questo sito è più un repository di alcune mie idee e pubblicazioni, che un vero e proprio blog di discussione. A presto!


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