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23 Marzo 2020 ~ 0 Comments

La lezione cinese

L’arrivo in Italia della task force cinese ha aperto un capitolo nuovo nella guerra al Corona Virus. Per due ragioni. In primo luogo perché porta con sé informazioni di prima mano, e una narrazione completa, sul percorso che serve a vincere la guerra. In secondo luogo perché ci costringe a un bagno di umiltà, a riflettere sul modello di reazione “occidentale”, in confronto a quello “orientale”.

Cosa hanno detto i cinesi appena arrivati? C’è troppa gente in giro! Hanno confermato una cosa che sapevamo già, ma sulla base dell’esperienza vissuta. La guerra all’epidemia si vince per strada, nella società, nelle case, e solo dopo nelle strutture sanitarie. Loro lo sanno dai tempi della SARS e dell’aviaria.

La diffusione di un virus avviene per ragioni sociali, per colpa degli imperativi categorici che costringono cittadini e governanti a mettere in secondo piano la “distanziazione” sociale, e quindi la salute, rispetto ad altri obiettivi. Nei distretti del Nord, ad esempio, l’imperativo categorico è rispettare gli impegni di lavoro. L’etica del lavoro costringe lavoratori e imprenditori a tollerare comportamenti a rischio, senza difese adeguate.

Oggi i cinesi ci portano la loro storia, ci spiegano perché questo atteggiamento sociale allontana la vittoria finale. Ci mettono davanti allo specchio.

I giornali locali fanno oggi un cattivo servizio ai cittadini, dicendo che i cinesi confermano le tesi di Fontana (in Lombardia) oppure quelle di Zaia (nel Veneto). Il messaggio è un altro: senza far diventare la “distanziazione” una priorità sociale, in fabbrica come in famiglia, non se ne esce.

La quarantena a Wuhan, non è stata imposta dall’alto e i cinesi non sono sudditi sottomessi di un governo dispotico. Hanno semplicemente imparato come comportarsi durante le epidemie, hanno prodotto una sorta di “vaccino sociale” a non seguire comportamenti pericolosi. Un vaccino che in Italia e nei paesi occidentali scarseggia. Anche perché i leader dei nostri paesi continuano a ripetere che non ne abbiamo bisogno. Pensiamo a Trump o a Johnson.

Se le autorità occidentali avessero considerato con maggiore attenzione il caso cinese o coreano, e ne avessero discusso con i cittadini, avremmo forse affrontato in modo diverso la crisi. In Italia avremmo forse costruito una Linea Gotica tra Nord e Sud, in tempo utile, o fatto saltare Schengen.

Adesso è tardi e siamo costretti a combattere la guerra con altri mezzi. Ma possiamo almeno accettare l’esempio cinese come fonte di ispirazione per provvedimenti adeguati. Sul fronte economico ad esempio. Invece di parlare a vanvera di Piano Marshall, per come lo abbiamo conosciuto prima del liberismo, perché non studiamo il modello federalista cinese e i rapporti virtuosi in quel paese tra province o tra azione pubblica e mercato?

© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (Lunedì 23 Marzo 2020)

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