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19 Dicembre 2019 ~ 0 Comments

Due guastatori nella palude della politica

Stavo per scrivere un mesto articolo sull’assenza di luci nella palude della politica italiana ed ecco, invece, qualche lume apparire all’orizzonte. Gatto Salvini e Volpe Renzi mandano segnali di rottura degli schemi tradizionali, di una troppo ortodossa contrapposizione tra destra a sinistra che non ci porta a una nuova Repubblica.

Gli osservatori che, come me, guardano ai fondamentali e credono sia indispensabile l’avvio di un percorso costituente, cercano di capire se i ragazzi terribili della politica nazionale siano in grado di portare il paese sulla strada giusta. E, soprattutto, se gli italiani siano in grado di condizionarne il tentativo.

Sto ovviamente parlando di ipotesi al momento fantasiose, che tuttavia hanno il pregio di legare assieme bandoli persi della matassa nazionale, che vanno annodati e tenuti assieme, per uscire dal pantano in cui ci troviamo.

Il primo bandolo è proprio il carattere dei protagonisti. Renzi e Salvini sono nati nella palude e si muovono al suo interno come i vietcong nella giungla. Altri come Giorgia Meloni, Giggino Di Maio o il povero Zingaretti sono invece troppo rigidi per non impantanarsi. Nel Vietnam attuale servono rottamatori per trovare un percorso anomalo di cambiamento effettivo. Il Moloch da combattere non sono i partiti o le maggioranze parlamentari, ma la burocrazia e la giungla di regole che abbiamo costruito e che ci stanno affogando.

Non sto dicendo che Renzi e Salvini siano grandi statisti, ma servono per uscire dal pantano. Entrambi hanno compiuto errori vistosi nella loro carriera passata, ma forse hanno raggiunto la maturità necessaria per evitarne di nuovi. Avanzo l’ipotesi che possano essere utili agli italiani, prigionieri di una classe politica incompetente, di una macchina pubblica allo sbando totale e di troppo vecchie ideologie.

E però, e qui sta il dramma, bisognerebbe che anche gli italiani accettassero di uscire dagli schemi. Primo tra tutti quello che contrappone vecchi stereotipi di destra e sinistra. Dovremmo accettare l’idea che non c’è più una politica di destra fascista, degna di questo nome, così come non esiste più una speranza di sinistra legata al nocciolo duro del pensiero socialista e comunista. La classe operaia non è centrale nello sviluppo futuro e non esprime leadership naturali attorno alle quali si possano aggregare ceti e interessi più ampi.

Sulla questione delle migrazioni o dell’Europa, ad esempio, i vecchi arnesi non servono più.

Agli italiani non resta dunque che approfittare dei guastatori e tentare, con loro, un’uscita rischiosa dalla palude e dalla tradizione. Possono farlo, riducendo i rischi, se tengono stretto il secondo bandolo della matassa, metro di misura del processo di rottamazione: la necessità di radere al suolo e ricostruire, non il ceto politico, ma l’intera macchina pubblica.

© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (Giovedì 19 Dicembre 2019)

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