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22 Novembre 2019 ~ 0 Comments

La società signorile di massa

In una fase politica di non-emergenza, nella quale non c’è molto da discutere, è giocoforza dedicare un po’ di tempo a questioni di largo respiro, trascurate nei momenti concitati delle crisi di governo, degli smottamenti elettorali, delle alluvioni finanziarie.

Mi riferisco, ad esempio, alle analisi critiche della società italiana, molto utili a riflettere sulla nostra condizione di italiani. Quella proposta da Luca Ricolfi nel suo pamphlet “La società signorile di massa” (La Nave di Teseo), mi sembra particolarmente stimolante.

Ricolfi ha la dote di chiamare le cose con il loro nome, anche se questo può dare fastidio, e cerca fondamento delle proprie affermazioni nei dati statistici disponibili.

Per descrivere il caso italiano affronta la questione del declino, come esperienza collettiva che coinvolge/travolge tre generazioni. Quella dei padri fondatori della Prima Repubblica, che hanno costruito il benessere, passando da un’economia agricola e famiglie senza bagno in casa a un’economia industriale moderna e famiglie con un patrimonio, non solo edilizio, cospicuo. Quella del ’68 che ha utilizzato il risparmio dei padri per tentare il passaggio a un’economia post-industriale, a costo di un aumento del debito. E la generazione attuale, quella dei NEET, che si permette di non lavorare, perché educata ad avere aspettative di benessere materiale superiori a quelle effettivamente disponibili, e che dispone di un patrimonio dilapidabile e un esercito di servi/para-schiavi al proprio servizio.

La società attuale, coinvolge le generazioni del dopoguerra in un rapporto ambivalente, contraddittorio. Può essere definita “signorile” perché la maggioranza dei cittadini non lavora, soprav-vive bene grazie alla rendita assicurata dal patrimonio (non sempre ben manutenuto e valorizzato, ma ancora cospicuo) e alla continua crescita del debito (in larga misura acceso attraverso decisioni collettive o pubbliche), dispone di beni di consumo a bassissimo costo e di una manodopera servile (circa 3 milioni di persone in condizione di para-schiavitù) che concorre a risolvere problemi piccoli e grandi della vita quotidiana.

L’analisi di Ricolfi è documentata e spietata. Arriva a stabilire che il luogo di produzione di questo genere di società è la scuola. Un’istituzione che non produce più competenze utili e distribuisce valori sbagliati. Quelli che portano i NEET a non lavorare, perché convinti di avere una professionalità e un diritto di cittadinanza superiori a quanto offerto dal mondo della produzione. Attività che non sono ritenute all’altezza di “signori” che meritano uno stile di vita analogo a quello dei ricchi americani di Netflix.

Inutile anticipare le conclusioni a cui arriva Ricolfi. E’ qui sufficiente raccomandarne la lettura e una conseguente attenta meditazione.

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