Home » MDA » Classe dirigente, macchina pubblica e rappresentanza

19 Novembre 2019 ~ 0 Comments

Classe dirigente, macchina pubblica e rappresentanza

MDA

Nella ricerca di soluzioni ai problemi strutturali del paese, e in particolare ai circoli viziosi che è necessario interrompere (per evitare il declino paventato da Luca Ricolfi nel suo ultimi libro) ho cercato di ragionare su cosa possiamo fare in tre ambiti critici del sistema: classe dirigente, macchina pubblica e rappresentanza.

  1. Classe dirigente. Appare sempre più chiaro che la rottamazione, il rinnovamento della classe dirigente non avviene attraverso i partiti. Neanche quelli della cosiddetta anti-politica. Il partito, che un tempo rappresentava uno strumento di crescita personale, socializzazione e apprendimento per milioni di italiani, è ormai ridotto al ruolo di puro intrattenimento degli elettori (soggetti passivi di campagne pubblicitarie). Provvede al collocamento di candidati “vendibili” attraverso moderni sistemi di comunicazione di massa. Questo tipo di organizzazione (post-partito di massa) non è più finalizzata a selezionare competenze utili per l’amministrazione. Mobilita disoccupati alla ricerca di una “carriera” professionale/personale (esponendoli, peraltro, a una elevata probabilità di delinquere, come le inchieste sugli scontrini e i comportamenti della ministra Trenta hanno dimostrato). Ci sono altre organizzazioni o movimenti in grado di produrre classe dirigente di valore? Un tempo i sindacati (sia dei lavoratori, che delle imprese) erano fucina di competenze gestionali e amministrative (luoghi di formazione al problem solving). Oggi anche queste organizzazioni non funzionano più come ascensore politico-amministrativo, a causa del declino della “militanza”. La nuova generazione di iscritti non partecipa alle attività associative per assumere competenze e ruoli da leader e la nuova (?) generazione di funzionari non ha spinte ideali, punta al posto di lavoro, produce servizi e non contenuti.

C’è un altro vivaio di competenze utili alla guida del governo e del paese? Dove? Tra i giovani emigrati all’estero come Ho Chi Minh (esempio di Irene Tinagli, ma anche Giovanni Diamanti e Giacomo Possamai)? Negli studentati universitari? Tra le sardine o i circoli della Lega?

  1. Il secondo ambito critico è quello della macchina pubblica e delle sue regole gestionali. Non solo gli impiegati e i dirigenti della PPAA sono vecchi e incompetenti (51 anni di età media), ma sono anche educati a non occuparsi mai del merito dei problemi, solo della forma, specializzandosi nell’arte di non assumere mai alcuna responsabilità. La classe politica giustizialista, selezionata attraverso i partiti citati sopra, invece di modificare gli obiettivi e le regole della PPAA, nell’ultimo decennio ha solo cercato di togliere discrezionalità e responsabilità ai dirigenti pubblici, nella convinzione che il governo della macchina pubblica sia partita persa e che le norme e la digitalizzazione dei processi siano la soluzione. La nascita dell’ANAC è il simbolo di questa deriva, per non parlare della digitalizzazione della PPAA (oggi per avere la carta di identità ci si mette in lista d’attesa per almeno sei mesi). Ci sono esempi di innovazione e/o di sviluppo di una nuova classe dirigente pubblica (che svolga funzioni analoghe a quelle assunte dai Mattei degli anni passati)? Sembra di no. Anche nell’ambito dei cosiddetti “commissari straordinari” le esperienze non sono univoche (per una Expo che va a buon fine, ci sono mille MOSE e Alitalie fallite). Non parliamo dei tentativi di rivitalizzare le ENA italiane (Scuola Nazionale PPAA).

Le regioni, le utility e le società pubbliche, che un tempo erano fucina di competenze tecniche e organizzative di primordine sono ostaggio di direttori che si limitano a gestire il personale, applicare le norme, rispondendo alle richieste degli eletti (nei 30.000 CdA delle partecipate) e dei cittadini con la classica frase: non si può!

Dove si formano oggi le competenze organizzative e tecnologiche (digitali, ma non solo) che servono a produrre innovazione nella macchina pubblica?

Un tempo le PPSS erano all’origine di flussi di investimento in ricerca, formazione e consulenza che producevano competenze (Federico Butera e RSO sono un esempio di questo – i loro epigoni di Core-Consulting tengono botta, ma a livelli molto inferiori dal punto di vista del dibattito e della scuola di pensiero). Idem per istituzioni regionali come SVIMEZ, Invitalia, Italia Lavoro, che hanno sostituito la Cassa per il Mezzogiorno al SUD, e IRSEV, IRPET, ERVET, ASTER al NORD.

Le regioni hanno distrutto competenze e perfino in Emilia Romagna il movimento cooperativo non è più sede di formazione per manager con competenze utili per l’innovazione nelle public company e nella macchina pubblica.

Dove sono i nuovi laboratori di formazione?

NB – In assenza di risposte concrete alle domande formulate finora, la possibilità di introdurre cambiamenti all’interno di questi due ambiti critici del sistema Italia semplicemente non esiste, perché c’è una complicità di fondo tra classe dirigente politica inane e burocrazia incapace (schierata in difesa delle regole dell’inefficienza e dell’irresponsabilità). I due ambiti si rafforzano a vicenda in un circolo vizioso senza fine.

L’unica possibilità di rompere questo circuito è l’individuazione di una qualche “forza esterna”, contraria alla logica della mediocrità e dell’inefficienza. Questa forza non può essere rappresentata da altri che dalle élite che si oppongono al circuito vizioso e da gruppi di utenti/consumatori che abbiano il potere di decidere, ad esempio, di cambiare fornitore di servizi o boicottare i servizi della PPAA. Questa forza, tuttavia, ha bisogno di nuove forme di rappresentanza.

  1. Nuove forme di rappresentanza

Le piazze sono, per definizione, il luogo nel quale possono radunarsi cittadini e rappresentanti della società civile che vogliano condizionare il “sistema” (con la forza – dei sampietrini, dell’ironia o della non violenza).

Negli ultimi anni abbiamo assistito a movimenti importanti. Quello ambientalista, ad esempio, che ha saputo esprimere leader riconosciuti e autorevoli, come Greta Thunberg o Ermete Realacci. Quello dei “makers” a livello internazionale, che ha inventato percorsi di selezione degli innovatori come Ted-EX. In Italia abbiamo visto nascere il movimento 5Stelle e in Francia i Gilet Gialli.

Questi movimenti, tuttavia, non hanno fatto emergere un “nuovo modello di rappresentanza”. Nel tempo sono tutti confluiti verso la forma partito o programmi di occupazione delle istituzioni, invece che di cambiamento radicale.

L’ipotesi di aprire il Parlamento come una scatola di tonno a partire dalla piattaforma Rousseau o di procedere a decisioni rilevanti a partire dalla consultazione on-line di cittadini è naufragata tra le risate.

Ipotizzare nuove forme di rappresentanza che superino il meccanismo della delega a “intermediari” della funzione pubblica (politici eletti tramite i partiti e funzionari/burocrati della PPAA) è dunque ancora molto aleatorio e complicato. Non trova esempi utili a ragionare.

NB – Se adottiamo lo schema rivoluzionario della “dis-intermediazione” tra domanda e offerta di servizi (o beni pubblici / beni comuni) e, per un momento, immaginiamo un percorso alternativo alla ricerca di nuove “élite” (classe dirigente), dobbiamo per forza tornare ai suggerimenti della Ostrom: nel tempo i beni pubblici/collettivi sono stati amministrati meglio quando c’è stato un coinvolgimento diretto degli utenti, sia nella formulazione delle regole, che nella nomina dei “sorveglianti”. La base di questa forma di “democrazia” è dunque un nuovo statuto del cittadino: non più solo elettore, ma “attore sociale competente/pertinente” su un determinato problema.

A decidere sono chiamati non i cittadini senza qualità o i loro “rappresentanti” in Parlamento (senza qualità e senza competenze anch’essi) o dirigenti della PPAA che rispondono al ceto politico e non agli utenti, ma i cittadini “produttivi”, che sono selezionati (hanno la patente di decidere), perché dispongono di competenze utili a valutare la qualità e il merito dei prodotti e servizi forniti.

In questa dimensione il filtro di accesso alla democrazia è spostato alla base, a livello del cittadino. Tra gli entitlements del decisore ultimo c’è una sorta di patente di competenza da sviluppare. Come sia distribuita questa patente, come sia gestito l’accesso alla sfera delle decisioni è tutto da valutare. Ma il meccanismo è, almeno in teoria, chiaro.

Nell’organizzazione delle “piazze” future e dei movimenti per una democrazia non più rappresentativa e neppure “diretta” da “semplici” cittadini, dobbiamo tenerne conto.

Facciamo l’esempio dell’Alitalia.

La classe dirigente (chiamiamola ancora così) non ha alcuna strategia, non conosce il merito del trasporto aereo. Non sa cosa fare, a parte schierarsi dalla parte di una bandierina sovranista. I dirigenti (commissari) pubblici non hanno a loro volta alcuna competenza tecnica e si limitano a gestire i soldi degli altri. Non c’è fine allo spreco. L’unico soggetto che può opporsi alla distruzione di ricchezza è un soggetto sociale forte, competente e riconosciuto, costituito dagli attori sociali competenti nel trasporto aereo (piloti, lavoratori della filiera, grandi viaggiatori, tecnici, ricercatori e consulenti organizzativi che possano vantare una competenza specifica). Come si convocano gli stati generali di questa base sociale?

Leave a Reply