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13 Novembre 2019 ~ 0 Comments

I nostri soldi buttati in Alitalia

400 milioni di prestito, dopo i 900 già concessi nel 2017 e gli oltre 8 miliardi di Euro (diretti) e un valore difficilmente stimabile di aiuti indiretti (tra cassa integrazione e incentivi) spesi nel corso della Seconda Repubblica per mantenere quella che si dimostra essere poco più che una bandierina.

Non c’è nessuna ragione al mondo che possa spiegare come mai i contribuenti italiani debbano finanziarie, di tasca propria, un’azienda incapace di volare da almeno un quarto di secolo. Gli italiani viaggiano con altri vettori, senza problemi, a prezzi sempre più bassi, in un sistema del trasporto aereo sempre più liberalizzato, in Europa e nel mondo, che offre un’ampia gamma di alternative.

Perché dunque dovremmo spendere ancora per una compagnia aerea inutile, magari attraverso FS o CDP? Solo perché sulla coda ha stampato il vessillo nazionale?

La liberalizzazione del trasporto aereo, prima negli Stati Uniti e poi in Europa, è stata pensata per rompere obsoleti monopoli e rendite di posizione. Sta portando a una situazione nella quale le compagnie aeree si concentrano in pochi gruppi globali, per amministrare meglio rete e flotta. Presto lo spazio aereo sarà diviso in in aree di influenza logistica (vedi Emirates, come usa l’hub di Dubai, per le rotte verso l’oriente). I grandi vettori del futuro si chiameranno, per convenzione, North West Europe, Central Mediterranee, South East Asia, ecc., in competizione tra loro e in grado di offrire servizi low cost (ma veramente low!) così come passaggi in business per chi lo desidera, senza togliere niente a nessuno.

Alitalia è nata come vettore “sovranista” orientato a collegare l’Italia (Roma) alle destinazioni interne ed estere ritenute politicamente più rilevanti per la nostra comunità nazionale. Non ha mai costruito una strategia coerente con il mercato globale e le politiche di liberalizzazione (attuate fin dai primi anni ’90). Ha rifiutato alleanze importanti, sempre nella logica dell’azienda nazionale protetta. Nel tempo si è ridotta di struttura e dimensione (96 aerei contro i 270 di British o i 290 di Lufthansa) con una rete sconclusionata e mal gestita dal punto di vista logistico, che produce costi elevati per inefficienza operativa (gli aeroplani sono fermi al parcheggio, più di quelli dei concorrenti, in un settore nel quale il rendimento del capitale fisso è determinante).

Ben venga dunque l’eventuale incorporazione nella rete Lufthansa. Ma perché, in un mondo nel quale neanche la Corea del Nord dispone di un vettore statale, dovremmo continuare a investirci soldi dei contribuenti? Davvero non c’è ragione, visti i problemi finanziari che abbiamo.

Anche se il popolo non si lamenta, tutto contento di tenere in mano una bandierina, qualcuno dovrà, a un certo punto, dire basta e lasciare che “faccia il mercato”.

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