Narrazioni e modello di sviluppo a Nordest
In questi giorni sui media si scontrano opposte visioni del mondo e della sostenibilità.
Da un lato i “gretini” neo-comunisti della decrescita felice, che vedono fratture e inquinamento a ogni piè sospinto. Dall’altro i “toni sugaman” sdraiati in difesa del modello consumistico tradizionale, che vedono proprio nei movimenti ambientalisti i nemici della civiltà occidentale.
Queste fazioni allegoriche, che si confrontano sui social e nelle piazze, a partire da narrazioni-caricatura del mondo reale, nascondono il vero problema: come avviare una transizione intelligente verso nuovi stili di consumo e nuovi processi industriali.
Consideriamo con attenzione i cambiamenti strutturali degli ultimi anni.
Vi ricordate la crescita inarrestabile dei prezzi del petrolio e delle materie prime industriali nel 2008? Bene. Quella tensione ha prodotto una crisi profonda del mondo globale, prima ancora che il tema della sostenibilità e dei cambiamenti climatici diventasse il cuore dell’agenda politica, all’ONU, ma non solo. Da quella crisi il mondo si è ripreso con interventi tradizionali di tipo finanziario (tassi di interesse bassissimi e montagne di liquidità immesse nel sistema mondo), ma non in via definitiva e con ritmi imparagonabili a quelli dei decenni precedenti.
Il fantasma “grande reset” solo in parte è stato affrontato con innovazioni di sistema: nuovi prodotti e processi, uso circolare delle risorse, stili di consumo compatibili con il riscaldamento globale. Senza interventi radicali, quel fantasma tornerà inevitabilmente a turbare i sonni della nostra manifattura.
Non a caso la Germania (manifatturiera) sta provando a investire una cifra considerevole su nuovi sistemi di trasporto, filiere energetiche, prodotti “circolari”, per uscire strutturalmente dal vecchio modello in crisi. E i nostri distretti lo sanno e vedono subito gli effetti di quanto accade al di là delle Alpi.
Eppure a Nordest l’onda popolare si colloca all’opposizione della Germania. Chiusa in difesa di un passato, di una tradizione e di un modello di economia e società che rischia di finire in soffitta. Nonostante la vitalità e la capacità endogena di innovazione delle piccole imprese. Non ragiona più di futuro e non elabora un pensiero laterale analogo a quello che ha reso il Nordest un modello per lo sviluppo glocale nel Second Industrial Divide.
Siamo alla fine di un ciclo? Il Nordest ha finito la benzina e si rinchiude nella protesta contro il resto del mondo? Speriamo di no. Perché qualcosa si muove sotto il pelo dell’acqua, lontano dalle stupidaggini che girano sui media e nei tavoli delle osterie. Serve però un colpo di reni. Un segnale dalle imprese, oltre che dalla politica. Con l’insediamento della nuova Commissione, a guida tedesca, si aprono spazi importanti di innovazione.
© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (Giovedì 26 Settembre 2019)