Home » Prima pagina » Appunti sulla crisi di governo

27 Agosto 2019 ~ 0 Comments

Appunti sulla crisi di governo

(10 agosto 2019)

Non avevano fatto in tempo a tirare giù la serranda, indossare le pinne, afferrare la borsa da spiaggia e l’ombrellone, e già devono rinunciare alle ferie e tornare indietro a lavorare. Davvero non c’è mestiere più faticoso, in Italia, di quello del sondaggista-curatore di campagne elettorali. Non è mai finita!

D’altra parte il popolo inquieto non ha voglia di un governo stabile. Men che meno di un governo che ponga all’ordine del giorno i problemi crudi dell’economia e della società. Vuole invece cimentarsi, attraverso dichiarazioni sui social, commenti dal divano di casa, dichiarazioni nei sondaggi e soprattutto voti veri in cabina elettorale, nell’approvazione di questo e quel personaggio televisivo o politico del momento.

L’industria del consenso è sempre attiva. Mi piace, non mi piace. Like e don’t like. Pollice retto e pollice verso. Come allo stadio. Come al Colosseo.

L’elettorato italiano, per secoli fedele, inchiodato agli schieramenti politici della Prima Repubblica, agli steccati regionali, perfino accodato alle sigle emerse dalla Seconda Repubblica, ha rotto gli indugi e i riferimenti ideali. Rifugge i riti e le manfrine istituzionali (tutto cambi, perché non cambi nulla). Pretende di scompaginare, sempre più di frequente, i calcoli dei leader accreditati e le pretese di ordine, che nascono a destra e a sinistra.

Non c’è altra spiegazione al successo degli specialisti in crisi e campagne elettorali, agli esperti di movimenti e assembramenti extra-parlamentari.

Da un anno a questa parte ne abbiamo viste di tutti i colori. Svuotamento del Parlamento, ridotto a mero esecutore di contratti stabiliti in altra sede. Tentativo di affossare niente meno che l’Unione Europea e l’Euro. Alleanze più o meno abborracciate con potenze straniere. Rilancio di aziende decotte come Alitalia, distribuzione di quattrini con speciali carte di credito ai meno abbienti, abbuoni di carico fiscale ad alcune categorie di contribuenti, proroga di privilegi pensionistici ad altre categorie di cittadini, a scapito dei giovani, e via discorrendo.

Tutto tranne un programma di governo a lungo termine (Mezzogiorno in testa). Niente di assimilabile a una produttiva e convincente Terza Repubblica.

Nel frattempo PIL, occupazione, salvaguardia degli impegni finanziari dello Stato, disinnesco della possibile maggiore tassazione IVA, ecc… sono lasciati, in gestione provvisoria, alle élite di sempre e alle burocrazie europee.

Ecco la crisi della democrazia rappresentativa. Senza la mediazione di un ceto politico competente, la parola torna/resta sempre al popolo. Un popolo strutturalmente irresponsabile, chiamato in causa a esprimere pareri, a esercitare democrazia diretta, in sostituzione di una classe dirigente che ha abdicato al suo mestiere.

(16 agosto 2019)

Tutti si chiedono, soprattutto nel Veneto leghista, quali siano le ragioni della crisi di governo. La risposta più gettonata è sempre la stessa: colpa degli “altri”, colpa dei 5Stelle, dell’Europa e del PD che si rifiutano di ascoltare il popolo. Un popolo che chiede a gran voce il governo del fare. E non riesce a ottenere quello che vuole, perché gli “altri” pensano solo alle poltrone e ai ribaltoni elettorali.

Fermo restando che il ricorso alle urne, al momento, è la più concreta possibilità di uscita dallo stallo in cui è finito il governo del cambiamento, forse è meglio, a Nordest, cercare di riflettere sulle ragioni vere della crisi.

Innanzitutto tenendo conto che il popolo è profondamente diviso e ondivago. Non esiste in quanto tale e non ha le idee chiare su dove vuole andare. Al di là dei sondaggi, che indicano un profondo ripensamento popolare rispetto alle scelte di un anno fa, persistono almeno un paio di importanti divisioni tra componenti del popolo, che non sono state affrontate dal governo giallo-verde e in particolare dalla Lega.

La prima è la sempre più radicale distanza tra popolo del Nord e popolo del Sud. Su questo la Lega non ha saputo esprimere una vera leadership nazionale, un’egemonia di pensiero. Al Nord insiste sul giusto richiamo all’efficienza dello stato, ai costi standard e alla parità di trattamento fiscale dei cittadini. Ma non riesce a far breccia al Sud, a dimostrare che il federalismo dell’autonomia risolve i problemi storici dell’arretratezza più e meglio dello stato centrale.

La seconda è la crescente distanza di prospettive e carico fiscale tra giovani e vecchi. Anche su questo fronte la Lega del governo giallo-verde non ha fornito soluzioni convincenti. Quota 100 in particolare (per non parlare dei tutor e dei navigator) non ha aperto una strada di conciliazione tra i “privilegi” delle categorie più fortunate (over 60) e quelle che si ritrovano il cerino in mano di trent’anni di populismo. La Lega di Salvini riesce a proporre un patto sociale (politico) rassicurante. Agita la bandiera dei nemici esterni (immigrati, burocrati europei, comunisti), ipotizza la ricerca di nuovi amici (Trump e Putin), una manovra straordinaria, ma si ferma alle formule magiche, che non convincono.

Il cattivismo, la politica dei pugni sul tavolo, del prima noi, dell’uscita dall’Euro e della flat tax, pur seducenti nei confronti di non pochi caporioni da bar (anche a Sud), non è in grado di costruire il consenso necessario a governare in una repubblica proporzionale complessa. In un sistema provato da decenni di malgoverno, serve un ragionamento pacato, unificante. Perché “bisogna” toccare interessi e privilegi diffusi, senza innervosire i mercati. Bisogna dire agli italiani che una parte di responsabilità della crisi è anche loro, al Nord come al Sud.

(22 agosto 2019)

Voto e premier forte, altrimenti il Veneto resterà all’opposizione. La dichiarazione del presidente Zaia, a commento dei possibili esiti della crisi di governo, esprime una posizione chiara e ferma, a nome di quello che il governatore considera il “suo” popolo.

Non c’è molto da eccepire su tale posizione, in un quadro politico nazionale deludente. Da un lato il fallimento del governo giallo-verde, che non ha conseguito alcun obiettivo rilevante per il rinnovamento del sistema economico e amministrativo del paese, genera un diffuso risentimento popolare. Dall’altro l’ipotesi di un “governo dei perdenti” allontana la possibilità che in Parlamento si formi una maggioranza credibile, in netta e positiva discontinuità rispetto a quanto visto nell’ultimo anno.

Cacciari, dal proprio punto di vista, giudica la prospettiva di un governo costituente, guidato da una figura di altissimo profilo e composto di ministri capaci di riconciliare un popolo deluso (a destra come a sinistra, a Nord come a Sud) con le istituzioni della democrazia rappresentativa, l’unica prospettiva accettabile. Lui stesso, tuttavia, sa quanto difficile sia questa strada e non si aspetta miracoli.

Zaia scommette invece su una svolta elettorale che induca il leader nazionale della Lega a cambiare priorità nell’agenda delle riforme necessarie. Finora Salvini, come vice-presidente del Consiglio, ma anche Giorgetti, ha collocato le ipotesi autonomiste in secondo piano rispetto ad altre iniziative: Quota 100, flat tax, investimenti in infrastrutture, rilancio del conflitto con l’Europa. I dirigenti della Lega nazionale hanno enfatizzato molto la prospettiva sovranista roma-centrica e trascurato invece il ruolo della riforma federalista dello stato, come strumento principe per ridurre le differenze territoriali e riconciliare i popoli d’Italia con le proprie istituzioni. 

Un vero leader popolare, che fa dell’autonomia (e non solo delle Olimpiadi e delle Colline del Prosecco) la propria bandiera identitaria, dovrebbe prendere di petto la questione. Dovrebbe spiegare agli italiani i vantaggi dell’autonomia e chiedere aggiustamenti strutturali, non sulla base del referendum 2017, ma sulla base di un ragionamento convincente, condiviso con le stesse opposizioni che hanno sostenuto l’ipotesi autonomista (sia pure in versione emiliana).

Zaia

Non ha senso scommettere di nuovo su uno schieramento, per quanto amico e ideologicamente vicino al partito di maggioranza relativa nel Veneto, che non ha voglia di investire sulla riforma dello stato.

Strauss

Zaia rompa gli indugi, se vuole essere un vero leader nazionale. Faccia una sua proposta e si metta all’opposizione, adesso e comunque, come la CDU bavarese, e trovi consensi più ampi di quelli che ha già ora nel “suo” giardinetto.

© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (Martedì 27 Agosto 2019)

Leave a Reply