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14 Marzo 2019 ~ 0 Comments

Bilancio del cambiamento a un anno dalle elezioni del 4 marzo 2018

A un anno dalle elezioni che hanno provato a sbloccare l’Italia, vale la pena di riflettere sui risultati raggiunti.

Il popolo italiano ha rottamato la classe politica dell’emergenza. Oggi non è più possibile nemmeno immaginare governi tecnici guidati da personaggi come Monti e Fornero e nemmeno governi riformatori guidati da Prodi e Berlusconi. Il popolo non ne vuole sapere di convergenza europea, di sacrifici e progetti per il futuro. E’ disponibile a votare soltanto governi di sussistenza, a breve termine.

Il dibattito sulle infrastrutture (TAV Milano-Parigi) è un esempio lampante del mood del momento. Non buttiamo soldi su progetti di investimento, distribuiamo quattrini a chi ne ha bisogno. Non ci interessa cosa possa accadere all’Italia, se resta isolata in Europa. Vaffa… alle multinazionali che fanno i soldi coi buchi. Vaffa… agli industriali che lucrano sul paese. Non a caso l’attacco personale alla famiglia Benetton finisce in prima pagina sul New York Times, così come il ponte Morandi, a rappresentare un paese che vuole chiudere con la fase delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni, vuole tornare a uno stato paternalista, “autarchico”. Prossimi passi: la nazionalizzazione di Alitalia, il rientro dell’acqua pubblica nei comuni, la ricostituzione delle province. Di modello di sviluppo, di conti, di export, nessuno vuole più parlare.

Su questa prospettiva 5Stelle e Lega sono assolutamente solidali, poiché rappresentano un popolo che, dai disoccupati del Sud ai piccoli imprenditori del Nord, esprime una viscerale opposizione alle riforme, al grande capitale, al mercato, all’Europa e alle amministrazioni innovative.

Nel frattempo il peso della burocrazia si estende, non solo per gli effetti del codice Cantone, ma anche per l’indefessa proliferazione di gabole amministrative, che continuano, inesorabilmente, a dominare la scena dell’economia quotidiana. 

Il popolo di sinistra ritrova oggi un minimo di unità nella medesima direzione. Zingaretti non perde occasione per dire che la parentesi renziana e il delirio riformista di Napolitano sono acqua passata. Eventuali futuri governi di coalizione, modello Prima Repubblica, terranno conto prima di tutto dei diritti acquisiti e della tutela delle generazioni presenti, contro quelle future.  

E incoraggia una lettura positiva del reddito di cittadinanza, anche se ha perso qualsiasi legame con il lavoro, visto che la metà del richiedenti riceve  il sussidio senza lavorare (dati de Il Sole 24 Ore).

Insomma, a un anno dal voto, non si vedono progetti di riforma, oltre quelli approvati. Non ci sono speranze di ripresa degli investimenti e della produttività. Resta un debito in espansione e ipotesi inquietanti per le prossime finanziarie. Tutto il resto è accademia. Campagna elettorale.

© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (Giovedì 14 Marzo 2019)

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