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18 Novembre 2018 ~ 0 Comments

Manovra del popolo: The End

A metà settembre, quando la discussione sulla manovra del cambiamento è iniziata, avevamo scommesso su un esito analogo a quello che si sta prospettando. Una manovra che non contiene nulla di dirompente, alternativo alle tante manovre che abbiamo visto in passato, in Italia, dei governi di destra e di sinistra. La divaricazione tra promesse e risorse effettivamente disponibili non poteva che portare a questa conclusione.

Tuttavia, non avevamo previsto il deterioramento del quadro “diplomatico” e gli effetti negativi che la linea anti-europea del governo avrebbe determinato. Ad esempio sui tassi di interesse. Avevamo ipotizzato una manovra gattopardesca, all’italiana, rassicurante per i mercati. E ci troviamo invece nel pieno di una guerra irragionevole e inutile tra l’Italia e le autorità dell’Unione.

Il logoramento dei mediatori (Tria e Conte) non era affatto scontato, a settembre, così come non appariva necessario, nella stessa logica del governo del cambiamento, l’affondo sul deficit al 2.4%.

Nella versione di oggi, la manovra del popolo rende opaca l’identità del governo agli occhi dei cittadini e degli stessi elettori dei partiti di maggioranza. Aver confuso il governo del cambiamento con la manovra è stato un errore, per un esecutivo emergente, che aveva e ha tutta la legislatura davanti. Perché rischiare di deludere le aspettative, precipitando in un solo provvedimento il lavoro di ristrutturazione del sistema paese che richiede necessariamente anni di attenta preparazione?

La flat tax, che avrebbe dovuto essere un motore di crescita (attraverso il rilancio dell’ottimismo imprenditoriale) è scomparsa. Poco o niente reddito di cittadinanza, (ipotizzato motore dei consumi interni) non avrà effetti positivi sul PIL. Zero investimenti (che avrebbero dovuto essere il moltiplicatore di una domanda pubblica alternativa al calo delle esportazioni e delle attività produttive private) dissolve ogni speranza di una spesa anti-ciclica.

Perché siamo arrivati a questo esito? Perché non abbiamo affrontato la manovra in tono minore, rinviando il redde rationem con le autorità europee a ridosso delle elezioni di primavera?

La risposta è rintracciabile nella biografia politica dei vice-presidenti del Consiglio e nel loro distacco dalla società. Hanno puntato sulla rappresentanza dei deboli, contro i poteri forti, per rompere lo schema… per affermarsi, anche personalmente, un po’ come Renzi, come rottamatori. Ma oggi non riescono a chiudere il gap tra i voti ricevuti e gli entitlements, tra potere politico conquistato alle elezioni e il reale sostegno dei decisori, istituzionali ed economici, che comunque contano nella società italiana ed europea.

Come ne escono i tribuni del popolo? Lo vedremo nei prossimi giorni. Per quanto riguarda l’Italia, già sapevamo dove sta andando.

 

© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (Domenica 18 Novembre 2018)

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