Home » Prima pagina » Conflitto aperto Nord-Sud sull’autonomia

11 Settembre 2018 ~ 0 Comments

Conflitto aperto Nord-Sud sull’autonomia

Che senso ha la polemica tra Roberto Ciambetti (Presidente del Consiglio Regionale del Veneto) e Gianfranco Viesti, economista pugliese, esperto di economia regionale, che si oppone alle richieste di autonomia della Regione Veneto?

Viesti è un regionalista convinto, sostenitore dell’idea che lo sviluppo o è locale oppure non è. Tuttavia ha sempre sostenuto una tesi, piuttosto contraddittoria, sulle politiche di sussidiarietà degli stati nazionali e dell’Unione Europea: è vero che le politiche regionali non hanno avuto grandi effetti sullo sviluppo dei territori arretrati dell’Unione, ma senza quelle politiche la distanza tra regioni avanzate e arretrate sarebbe oggi ancora più grande.

Qual è il cuore di tali politiche? Paradossalmente esse sono influenzate ancora oggi dal pensiero economico italiano, dall’idea che i distretti e lo sviluppo locale siano la forma migliore di promozione del reddito e dell’occupazione, in un quadro federalista. Studiosi come Viesti, ma anche ministri di diversi governi della Seconda Repubblica, come Barca e Tremonti, si sono a lungo battuti per una programmazione impostata dal basso, dagli agenti del territorio, dalle associazioni di categoria, che sono in grado di combinare le risorse locali in progetti di crescita e innovazione, “speciali”, uno diverso dall’altro, laddove lo Stato non ha strumenti di intervento efficaci.

Sulla base di questi principi l’Unione Europea ha scelto la via degli Accordi di Programma (quello relativo a Manfredonia, ad esempio, ha coinvolto i distretti e le Confindustrie del Veneto e della Puglia), gestiti dalle Regioni.

Viesti deve ammettere che questo genere di politiche non ha prodotto i risultati sperati. Il suo punto di partenza è condivisibile, ma ha bisogno, per funzionare, di un principio di realtà, di competenza governativa. Gli incentivi allo sviluppo devono avere un limite. Devono essere erogati solo nella misura in cui i territori beneficiari, di risorse esterne aggiuntive (fondi europei – FESR in particolare), riescano ad amministrare tali risorse con trasparenza, aumentando la produttività dei fattori (efficienza) e producendo traiettorie di crescita ben visibili e integrate, a livello nazionale e nel sistema europeo (accountability).

I dati ci dicono quanto siamo lontani da una simile prospettiva, in Puglia come nel Veneto.

La polemica di questi giorni, tutta politica, non aiuta a capire quali siano i problemi veri del federalismo, italiano ed europeo. E dello sviluppo. Non è questione di privilegi e di egoismo delle regioni ricche contro le regioni povere. E’ questione di competenza nella gestione delle risorse destinate alla crescita.

La posizione di Viesti, mostra peraltro dove sia finita l’egemonia del modello veneto, come riferimento positivo per il resto del paese.

 

© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (Lunedì 11 Settembre 2018)

 

Fondi regionali per lo sviluppo

 

Nel precedente articolo sulle politiche di sviluppo locale e di sussidiarietà tra regioni abbiamo evidenziato gli aspetti critici della posizione assunta da Gianfranco Viesti nella polemica contro la proposta di autonomia del Veneto (e di altre regioni del Settentrione).

Condividiamo l’idea che le regioni abbiano un più ampio spazio di manovra, in un contesto federalista, sulle materie dello sviluppo, ma riteniamo necessari alcuni aggiustamenti essenziali.

Il primo è quello che riguarda il ruolo dei fondi e degli incentivi alla competitività del sistema regionale. Allo stato attuale, nonostante tali fondi vengano erogati soltanto a fronte di una qualche forma di co-finanziamento, non c’è dubbio che si tratti di erogazioni a “fondo perduto”. Una forma di investimento pubblico, su asset territoriali e beni collettivi, che non viene recuperata direttamente, poiché finalizzata a generare ricadute positive indirette sul reddito e sul gettito fiscale di un’industria o un territorio.

In futuro sarà opportuno introdurre forme di verifica più accurata di queste ricadute.

Il secondo è quello che riguarda le modalità di raccolta del risparmio regionale e la sua destinazione a investimenti produttivi (sia pubblici che privati). Nel Veneto sappiamo bene come (non) abbia funzionato questo meccanismo. In un sistema di piccole imprese, pure in media competitive, sono state le banche (soprattutto quelle popolari e del credito cooperativo) a intermediare l’allocazione del risparmio privato. Ciò nonostante, la mancanza di una governance efficace e soprattutto di competenze tecniche di livello adeguato, ha condotto il risparmio verso destinazioni assai poco produttive.

Non è andata meglio quando l’allocazione delle risorse private è stata intermediata dalla Regione e da altri enti preposti allo sviluppo economico e all’innovazione. Vogliamo ricordare che fine hanno fatto i fondi per la Valdastico Sud? Vogliamo discutere, non tanto delle questioni finanziarie della Pedemontana, quanto delle soluzioni tecniche adottate nella sua realizzazione (ad esempio nel tratto compreso tra il casello di Montecchio e la zona di Arzignano)? Vogliamo osservare che uso è stato fatto dei fondi destinati ai distretti e alle agenzie per l’innovazione?

Potremmo aprire poi il capitolo del PIR e dei fondi di investimento sulle piccole imprese, ma non lo facciamo, poiché, a parte l’intervento di alcuni investitori internazionali, è praticamente impossibile documentare esperienze di canalizzazione diretta del risparmio privato verso il sistema produttivo o le utility territoriali.

Ci limitiamo a rimarcare la questione delle competenze. Per allocare produttivamente qualsiasi tipo di risparmio o incentivo pubblico servono competenze, che non abbiamo e sulle quali abbiamo smesso di investire da tempo.

Leave a Reply