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21 Agosto 2018 ~ 0 Comments

Cultura e tecnologia: il caso del ponte Morandi

Quel ponte camperà 100 anni! avevano detto i militanti 5 Stelle di Genova, contestando la favoletta della presunta pericolosità del viadotto Morandi. Nella narrativa populista, la scienza è sempre asservita al grande capitale e non ci sono tecnologie da studiare e verificare in continuo, nell’industria come nelle grandi opere pubbliche.

La stessa logica porta a contestare i vaccini e le imprese farmaceutiche, colpevoli di raccontare favolette al popolo, per bocca di medici e manager prezzolati e corrotti.

Abbiamo già trovato i colpevoli! annuncia il vice-premier Di Maio ipotizzando una diretta linea di corruzione tra la famiglia Benetton e i governi che hanno preceduto quello del popolo (appoggiati dai burocrati europei, sempre disponibili a ingrassare il capitale privato).

Gli fa eco il vice-premier Salvini con dichiarazioni dello stesso tenore: i colpevoli sono nascosti nei consigli di amministrazione, ben pagati, delle società concessionarie. E il premier Conte revoca le concessioni (atto dovuto peraltro).

A questo genere di considerazioni e azioni risponde la comunità scientifica, per bocca di Antonio Brencich (Università di Genova). Per tempo e inascoltato, Brencich aveva previsto la possibilità di un crollo del viadotto Morandi. Per fatica e non in base a congetture fantasiose sulla cattiva gestione degli appalti o sulla negligente miscelazione del cemento. Il professore ammette di aver percorso fiducioso quel viadotto, così come altri ponti sospesi delle grandi arterie italiane, senza timore di finire schiacciato. Un ponte giovane, ha dichiarato, e costruito secondo metodi di elevata qualità. Esposto però ai limiti della “tecnologia” impiegata da Morandi nella progettazione. Secondo Brencich i tre ponti “strallati” ancora oggi esistenti al mondo, sono esposti tutti al “rapido deterioramento” dei materiali. La tecnologia è il problema, non la cattiva amministrazione.

Ecco due modi di affrontare il tema della modernità e della tecnologia. Il primo, quello che diffida della scienza e delle favolette degli esperti, si radica nella convinzione che il buon senso e i luoghi comuni del popolo sovrano siano lo strumento migliore per scegliere tra soluzioni alternative. Il secondo crede invece nei percorsi scientifici, tecnici e industriali, basati sul principio della continua falsificazione dei paradigmi che sottostanno agli esperimenti innovativi. Insiste sull’idea che la società possa evolvere solo attraverso una forte autonomia dalla politica e continui investimenti sull’analisi critica degli artefatti tecnologici.

Hic Rhodus, hic salta! O la società italiana, dei tecnici e delle competenze, recupera terreno sulla cultura populista, oppure il paese dei tweet e dei neet è destinato inesorabilmente a declinare ancora e a franare su sé stesso.

 

© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (Martedì 21 Agosto 2018)

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