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10 Agosto 2018 ~ 0 Comments

Governo del cambiamento?

Governo del cambiamento? Quale significato assume questa parola nel lessico politico di questi giorni?

All’inizio della legislatura, il termine cambiamento era associato a ipotesi riforma piuttosto radicali, soprattutto sul terreno dell’economia. Di fronte al presunto insuccesso dei governi di emergenza, i leader populisti hanno proposto un’inversione a U sulla strada della globalizzazione: uscita dell’Italia dall’Euro, flat-tax, reddito di cittadinanza, avvio di politiche protezionistiche, alleanza con Putin e Trump, invece che con l’Europa.

Come sappiamo, queste ipotesi hanno trovato il consenso degli elettori, ma non quello degli operatori economici, degli osservatori internazionali e soprattutto di Mattarella. Il contratto di governo ha dovuto quindi recepire ipotesi di cambiamento meno radicali.

Finora il governo giallo-blu non ha fatto molto. Ha effettuato la sostituzione dei dirigenti delle maggiori agenzie pubbliche (RAI, Cassa Depositi e Prestiti, Ferrovie dello Stato). In futuro cambierà i vertici dell’INPS e di altri istituti, ma senza cambiare le strutture. Ha sollecitato i nuovi amministratori a introdurre nella gestione di tali agenzie i valori del populismo (sovranismo, paternalismo statale, protezionismo e riduzione della concorrenza). Ma i nominati (alcuni in quota 5 Stelle e altri in quota Lega) sembrano avere visioni opposte degli stessi contenuti del contratto di governo.

Tutto questo produce impasse più che cambiamento reale. Il cambiamento, nel nuovo contesto, assume un significato molto diverso da quello iniziale: uomini nuovi, ma vecchie istituzioni, economiche e amministrative.

In campo economico le decisioni chiave restano saldamente nelle mani di Tria, che non si schioda dalla posizione minimalista concordata con Mattarella: adelante con juicio e senza uscire dai limiti di spesa concordati con l’Unione Europea.

Il decreto “dignità” e gli interventi collegati vanno nella stessa direzione. Di Maio propone un provvedimento che punta alla protezione statale dei dipendenti e delle imprese allergiche alla concorrenza. I leader della Lega, veneta soprattutto, si scagliano contro il decreto, mobilitando la propria base elettorale. Alla fine però, dal governo e dal Parlamento, uscirà una mediazione al ribasso, con un impatto limitato sul sistema sociale, sui giovani e sui precari, sulla produttività dei fattori.

Cosa ne ricavano gli osservatori esterni? Che in Italia siamo alle solite. Il tempo passa e il nuovo governo non riesce a incidere sui fondamentali.

Lo spread torna quindi a salire, non per paura di cambiamenti troppo radicali, ormai fuori dall’agenda politica, ma per la ragione opposta: la confusione e il gattopardismo dilagante nella nuova classe dirigente italiana danno la sensazione che grandi trasformazioni non ci saranno.

 

© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (Venerdì 10 Agosto 2018)

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