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31 Marzo 2018 ~ 0 Comments

Terza Repubblica dei territori e non dei partiti

Il 4 marzo 2018 l’Italia è entrata in una fase nuova, come dopo l’8 settembre del ’43 e il default del ‘92. A causa di un nuovo fallimento dell’establishment “moderato”.

Gli italiani si sono resi conto del binario morto in cui sono parcheggiati, nonostante la prosopopea della seconda potenza manifatturiera d’Europa. E si sono mossi. Hanno iniziato non solo a far emergere una nuova mappa sociale del paese, ma hanno anche messo in discussione il ruolo dei partiti e delle coalizioni uscite dalla Seconda Repubblica.

Nel ‘94 avevano deciso di dividersi in due coalizioni “politiche” nazionali, una di centro-destra e una centro-sinistra, per sostituire il regime parlamentare della DC e dei partiti satellite, dei voti scambiati in Parlamento lontano dagli occhi dei cittadini. Attraverso la competizione tra due schieramenti hanno sperato di modernizzare il paese, evitando il consociativismo e l’occupazione dello Stato da parte di mercenari e specialisti dell’amministrazione clientelare.

Per questa ragione hanno anche sposato la causa europea del rigore e della lotta al debito pubblico. A più di vent’anni da quella scelta riconoscono di non aver raggiunto l’obiettivo. Per questa ragione, in modo istintivo, hanno quindi deciso di cambiare ancora, di mandare a casa i vecchi leader, a partire da quelli che più di altri si sono battuti in favore di una Seconda Repubblica di emergenza.

L’Italia è diventata più povera negli ultimi vent’anni, non è riuscita ad aumentare la produttività del lavoro, ha lasciato il Mezzogiorno in una condizione di totale dipendenza dall’assistenza centrale, ha continuato a vivere al di sopra delle proprie possibilità e ad aumentare la pressione sui cittadini.

La reazione popolare, a questo punto, è arrivata. E oggi chiede un patto sociale più sostenibile di quello passato. Lo hanno capito gli stessi vincitori, arrivati in parlamento sulla spinta di parole d’ordine “populiste”. Al momento pensano ancora di andare al governo, di affidare a Roma un ruolo nuovo, di risolvere i problemi abolendo la legge Fornero e approvando un reddito di cittadinanza.

Ma non è in questo modo che risponderanno alla richiesta di cambiamento che si leva dal popolo. Dice bene Giancarlo Corò: l’unica strada ragionevole che possono percorrere è quella di un accordo tra territori, di una riforma federalista dello Stato, di una Terza Repubblica che rompa lo schema delle coalizioni “politiche” nazionali, inconcludenti. E’ l’unica strada che non abbiamo mai tentato e che è invece congeniale alla nostra identità nazionale.

 

 

 

 

 

 

Per fare questo passaggio è tuttavia indispensabile un’assemblea costituente. Non basta un governicchio parlamentare. Ed è necessario discutere di nuovo il ruolo delle regioni e la struttura degli enti locali.

Mattarella ha quindi il compito storico di indurre le forze politiche, incluse quelle dei moderati, a cambiare radicalmente schema di gioco.

© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (Mercoledì 28 marzo 2018)

 

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