Home » Green Leather » Valle del Chiampo. Da territorio “discarica” a miniera dell’economia circolare

08 Marzo 2018 ~ 0 Comments

Valle del Chiampo. Da territorio “discarica” a miniera dell’economia circolare

L’area sistema della Valle del Chiampo eredita una cattiva reputazione. E’ sede di un importante distretto conciario e ospita insediamenti manifatturieri che in passato hanno generato un notevole impatto ambientale. Tra gli altri potremmo citare lo stabilimento della Miteni (ex Rimar – Ricerche Marzotto) che da qualche tempo è sotto i riflettori per un episodio di inquinamento delle falde acquifere (da PFAS, molecole utilizzate come impermeabilizzanti nell’industria tessile e per le stoviglie), che si è verificato molti anni fa, ma attira ancora oggi l’attenzione dei media, oltre che delle autorità sanitarie della Regione Veneto.

L’area è sede di numerosi impianti di depurazione, tra i più avanzati del mondo, capaci di trattare reflui equivalenti a quelli di una grande città. E tuttavia è costellato da discariche industriali, di diversa dimensione, costantemente monitorate e sicure, che pesano sul paesaggio.

Insomma, la Valle del Chiampo non riesce, nonostante l’impegno della comunità locale, a scrollarsi di dosso la reputazione negativa, di “territorio discarica”, non solo poco ospitale, ma anche orientato a processi produttivi desueti, incompatibili con le ambizioni di sviluppo di una regione all’avanguardia nel Made in Italy, nei prodotti di lusso e nelle tecnologie 4.0.

Si tratta di una reputazione quantomeno ingenerosa, che può cambiare. A guardare da vicino i dettagli del sistema locale, ci si accorge che la Valle del Chiampo è già oggi un laboratorio avanzato non solo della sostenibilità, ma anche dell’economia circolare. Un luogo di innovazione tecnologica e ambientale e non di retroguardia. Un sistema produttivo che si avventura oltre i confini della green economy, attivando processi che riducono l’impatto energetico delle produzioni e le emissioni di CO2, proponendosi l’obiettivo di ridurre a zero i rifiuti (e non solo quelli potenzialmente inquinanti).

L’idea che la filiera pelle possa diventare una “miniera” di materiali organici rigenerati e nuovi prodotti è già a uno stadio avanzato di elaborazione e attuazione. Già oggi aziende collegate alla filiera principale (come ILSA e SICIT) sviluppano bio-stimolanti per l’agricoltura, che rappresentano una valida alternativa ai fertilizzanti chimici tradizionali e ai fito-farmaci che proteggono le coltivazioni. Già oggi i clienti principali dell’industria conciaria esigono certificati e garanzie sui prodotti finiti e sui processi che sono più restrittivi di quelli richiesti dalle autorità governative di controllo. Si pensi all’impatto che esercitano consorzi globali come ZDHC (Zero Discharge of Hazardous Chemicals) più ancora delle agenzie di controllo dei protocolli REACH.

E’ certamente vero che la produzione conciaria si concentra ancora oggi sulla trasformazione e selezione di scarti dell’industria alimentare e dell’allevamento, nella “filiera dell’umido”. Ma già questo dovrebbe essere interpretato come un compito meritorio, che riduce l’impatto ambientale dei materiali organici che tutti noi scartiamo dalle nostre tavole e che sono difficili da trattare. Già oggi la produzione di pelle cattura una quota rilevante di CO2. E l’industria conciaria non si limita a recuperare il fiore e la crosta della pelle (per produrre scarpe, vestiti, borse, divani e sedili per automobili), cerca anche di estrarre nuovi tipi di proteina (come le cheratine del pelo) che servono da input in processi industriali innovativi o nella produzione di energia da fonti rinnovabili (es. bio-gas).

Ovviamente, le tecniche di recupero degli scarti, alternative alla discarica, sono in fase di sviluppo e non tutte le imprese sono davvero coinvolte in progetti di innovazione. I nuovi sistemi di depurazione (a basso contenuto di fanghi) sono anch’essi in via di perfezionamento e non si è ancora consolidato un sistema certificato di “estrazione” delle materie prime seconde per l’industria. Ma il ritmo degli investimenti, anche a controllo pubblico, è sempre più accelerato.

 

 

La reputazione del territorio è quindi sul punto di cambiare, nella misura in cui la Valle del Chiampo può definirsi un “miniera” di nuovi prodotti e materiali, compatibili con l’ambiente.

Con l’emergere del paradigma dell’economia circolare, l’attività di “estrazione” verrà presto riconosciuta come punta avanzata di un nuovo modo di concepire le attività produttive nei settori che trattano materiali organici.

Cambiano infatti le attribuzioni nei confronti di questi materiali e degli stessi stili di consumo. La plastica sta diventando un nemico (anche se riciclabile), la produzione di carne una minaccia per il benessere alimentare, le materie prime recuperate un beneficio per l’umanità che vuole riconciliarsi con la Natura. Siamo nel pieno di una fase di transizione nella quale proprio la filiera dell’organico e la Valle del Chiampo possono giocare un ruolo di primo piano.

Come si può immaginare, dal punto di vista culturale, oltre che tecnico, si tratta di una sfida gigantesca: “nobilitare” il ruolo dei tecnici che intervengono sulla scomposizione chimica e biologica dei materiali, come punta avanzata sulla frontiera della scienza della vita e non del rifiuto, comporta passaggi di non poco conto anche solo a livello accademico, così come rompere le diffidenze dei consumatori o cambiare le normative che regolano la circolazione e il mercato degli elementi ri-generati non è cosa semplice.

Fino a ieri le competenze chimiche sono state finalizzate a “comporre” elementi base in molecole di sintesi, mentre nel prossimo futuro dovranno essere applicate in modo inverso, alla scomposizione/de-composizione controllata dei materiali organici disponibili, allo scopo di evitare la degradazione in “suoli”, “scarti” e “reflui” di cattiva qualità.

In conclusione la scomposizione selettiva dei materiali è la frontiera sulla quale si può ri-posizionare la Valle del Chiampo con le sue competenze, sia pure con molte difficoltà.

Da distretto specializzato a produrre, selezionare e certificare il fiore e la crosta della pelle, e i processi chimici a questo dedicati, potrà diventare un centro di eccellenza nella produzione e certificazione delle materie prime-seconde, oltre che dalla filiera del carne e degli altri prodotti alimentari.

A quel punto la reputazione negativa sarà cancellata e ulteriori progetti di attrazione degli investimenti e delle risorse umane potranno essere pianificati.

 

(Pubblicato da Venezie Cult nella Green Week 2018)

Leave a Reply