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11 Settembre 2017 ~ 0 Comments

I passi falsi del Veneto in declino

Il Veneto rischia seriamente di perdere il patrimonio di reputazione che ha accumulato negli anni buoni dei distretti, in cui il Nordest è stato riconosciuto, giustamente, come locomotiva d’Italia, anomalia positiva nello scenario nazionale e internazionale. E’ un rischio concreto, che si materializza in tre passi falsi, apparentemente irreversibili. L’ultimo, ma non ultimo per importanza, riguarda l’incredibile implosione cui stiamo assistendo della Fondazione Nord Est. Che non è solo un centro di ricerca, ma un luogo in cui il Nordest si è guardato allo specchio e riconosciuto, è tramite il quale si è raccontato alla Nazione.

Il primo passo falso è la crisi del sistema finanziario: la frattura tra risparmiatori e investitori. Come appare ogni giorno più evidente, la crisi delle banche di Vicenza e Treviso non è frutto di malversazioni societarie, attuate di pochi dirigenti incauti, ma la conseguenza di un modello di relazioni tra investitori industriali (poco moderni e poco innovativi) e risparmiatori (spesso incauti quanto meno) che coinvolge migliaia di persone e autorevoli esponenti del mondo associativo. Potremmo dire che lo scandalo MOSE è nulla di fronte al crack delle popolari. Coinvolge in modo pesante le rappresentanze delle imprese, le associazioni di categoria, che del credito popolare sono state un garante fondamentale. Se permettete la provocazione, agli occhi degli italiani chiamati a ripianare le perdite del sistema veneto, la reputazione di queste rappresentanze tende oggi a valere zero.

 

 

 

 

 

 

Il secondo passo falso è la regressione della politica regionale: la frattura tra sistema politico-istituzionale e borghesia globalizzata. Da regione industriale innovativa, che investe sui distretti e sull’innovazione, la Regione Veneto è diventata un laboratorio di progetti sempre più arretrati in campo amministrativo e culturale. Il grande consenso tributato a Zaia nelle elezioni del 2015 si sta traducendo in provvedimenti operativi, in uno stile di comando, un’agenda di questioni che nulla hanno a che fare con lo sviluppo e il ruolo del Veneto, come regione di punta nel mondo. Il governatore pone al centro dell’autorità regionale questioni marginali non solo in Italia, ma anche nel territorio. Si consuma in questo modo una rottura invisibile tra leadership politica e borghesia locale-globalizzata, quella che ambisce a mantenere un posto di prestigio nel mondo. Borghesia che vuole sì il referendum sull’autonomia, ma pretende contenuti all’altezza di una regione moderna, metropolitana, e non un coacervo di province da nuovo medio-evo.

Il terzo passo falso è la rottura definitiva tra società civile, politica e scuole di pensiero autoctone sul Nordest. Una scuola di pensiero si è riunita, qualche anno fa, all’interno della Fondazione Nord Est e in altri centri di riflessione regionale, comunque vicini alle associazioni delle imprese e della società civile, negli anni del boom, della nuova periferia industriale. Questa scuola di pensiero (di cui Enzo Rullani è stato un catalizzatore) è stata capace non solo di spiegare il successo regionale, ma anche di anticipare i temi di un dibattito globale sul capitalismo dal volto umano, sulle alternative praticabili ad altri modelli produttivi e sociali poco interessanti. Quella scuola di pensiero non ha saputo rinnovarsi ed è stata abbandonata dai gruppi dirigenti, dopo Galan, in favore di altre scuole di pensiero, che del modello regionale nordestino non hanno contezza e competenza.

Questi passi falsi, tutti assieme, minacciano oggi la costituzione materiale del Veneto post-fordista. Portano il sistema regionale verso una crisi irreversibile, che non riesce a essere nascosta dalla ripresa dell’occupazione e del reddito, trainata dal solito export.

Le responsabilità sono chiare e ben distribuite. Coinvolgono le forze di governo e di opposizione, i ceti produttivi e le comunità intellettuali e scientifiche locali. Nessuno investe più nel Veneto come laboratorio regionale di modernità e innovazione. Nessuno investe sulle Venezie del futuro, su una strategia post-post-fordista, che cancelli ogni dubbio sulla forza endogena di un modello veneto 4.0. Un po’ tutti i soggetti chiave della società manifatturiera di successo, stanno facendo a loro modo un passo indietro. Forzo i toni, perché voglio indurre una riflessione e non perdermi in diplomazie. Se mi sbaglio, abbiamo subito un’occasione per ricrederci: ricostituire la Fondazione Nord Est, o insomma un centro studi capace di un progetto di modernità autentica, di essere catalizzatore di intelligenze, di raccontare all’Italia un Veneto che si rinnova e si riscatta dai suoi propri limiti o fallimenti.

In questa situazione – se non sapremo rilanciare – la regione che aveva stupito Clinton, citata a modello per i paesi emergenti dall’ILO, studiata dall’Università di Harvard (Michael Porter) rischia di scomparire dai radar, condannata a una nuova marginalità.

 

© Quotidiani Gruppo Editoriale L’Espresso (Lunedì 11 settembre 2017)

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