Una resa senza condizioni
L’Italia non cresce, oggi, perché non si fanno investimenti e non si guarda al futuro.
Il ministro Calenda indica la strada dell’Industria digitale (4.0) e riceve il plauso degli operatori economici, soprattutto per gli strumenti che mette in campo: sgravi fiscali a chi investe su tecnologie che aumentano il contenuto di conoscenza e la produttività del lavoro intellettuale. Ma non basta. Bisogna pensare anche a una politica industriale, finalizzata a consolidare migliori condizioni di sviluppo per i comparti chiave del nostro sistema, nei cluster industriali che sono alla base della competitività dell’Italia nel mondo. La frontiera digitale, come quella ecologica, è fondamentale, ma attraversa tutte le industrie e non qualifica l’identità e la specializzazione del nostro paese.
Slow Food nell’industria alimentare ha dato un contributo maggiore di tutta l’automazione e la digitalizzazione possibile. E senza risorse pubbliche.
Nessun intento polemico con il ministro e nessuna tentazione benaltrista. Semplice constatazione della difficoltà del momento e della strada che resta da percorrere.
L’Italia degli anni ’60 cresceva a vista d’occhio, perché gli investimenti pubblici, sulle autostrade, ad esempio, o sulla rete del gas e del petrolio, si intrecciavano sinergicamente con lo sviluppo di settori chiave dell’economia privata: l’auto, l’elettrodomestico, l’impiantistica meccanica.
Anche i lavori pubblici collegati a grandi eventi, come le Olimpiadi di Roma del ’60, davano un contributo evidente alla modernizzazione. A posteriori possiamo discutere la qualità di quello sviluppo, ma non gli strumenti di sostegno usati per la crescita. All’epoca, non generavano il grande debito assoluto che è intervenuto poi.
Cosa è cambiato dunque? Perché oggi non riusciamo a ragionare in termini sistemici e il settore pubblico è diventato un peso, un cancro, invece che una leva di modernizzazione?
Proprio la vicenda delle Olimpiadi di Roma 2024 ci offre una risposta. Il sindaco Raggi preferisce non far nulla, non perché non sappia quale effetto potrebbero produrre investimenti di restauro e riorganizzazione della capitale, ma perché ha la “certezza” che finirà tutto in tribunale. E’ una dichiarazione di resa senza condizioni. L’amministrazione pubblica è prigioniera di regole che non consentono alcun rischio, alcun investimento, alcuna innovazione. Soprattutto in settori nei quali, compreso il digitale, i regolamenti pubblici e amministrativi pesano come una spada di Damocle sulle decisioni degli innovatori.
Pubblicato su Il Giornale di Vicenza del 23 settembre 2016 (© Il Giornale di Vicenza)