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09 Agosto 2016 ~ 0 Comments

Il fascino discreto dei neri alle Olimpiadi

Non ha detto una parola. Non ha mosso un sopracciglio. Si è toccata il labbro dolorante, dopo il colpo ricevuto, senza commenti. Ne ha subite altre di umiliazioni, di sberle.

Alla fine del match, dopo gli inchini di rito, è corsa tra le braccia dell’allenatore come una bambina di quattro anni nelle braccia del suo papà. Si è lasciata andare a un pianto dirotto, liberatorio. Pochi secondi. Poi si è ricomposta ed è corsa dal lato opposto della pedana, per saltare al collo degli accompagnatori ufficiali. E, infine, si è arrampicata sugli spalti e si è letteralmente buttata nel ventre caldo degli amici e dei parenti in tribuna, che l’hanno assorbita, avviluppata, in una placenta collettiva piena di affetto e lacrime di compostezza.

E’ il modo brasiliano di festeggiare la medaglia d’oro del judo, Rafaela Silva, negretta cresciuta a Cidade de Deus, una delle favelas più grandi e terribili di Rio de Janeiro, cantata nel libro di Paulo Lins e raccontata nel film di Fernando Meirelles e Katia Lund. In mezzo agli ultimi.

Rafaela Silva

 

 

Rafaela Silva

 

 

Non conosco la storia personale di Rafaela, ma, come altri hanno già commentato, si tratta di una storia simbolo del Brasile di oggi, a metà strada tra l’invenzione di un nuovo modello di integrazione sociale e fratture secolari apparentemente incomponibili. Ed è una storia simbolo di queste Olimpiadi.

Nei gesti di Rafaela non si è visto soltanto l’orgoglio di un’atleta ostinata, capace di sovvertire i pronostici, contro i mostri sacri di una disciplina radicata in oriente. C’è qualcosa di più che solo i neri hanno nel cuore. Anche in Brasile, nel Brasile dei meticci, della povertà fatta progresso, dei Lula, dei piani di investimento sociale. Anche in Brasile ai negri spetta un posto di seconda fila.

Tranne al Carnevale di Rio o di Bahia, sulle torrette dei carri. Tranne alle Olimpiadi, nelle quali giocano un ruolo da protagonisti, nel Brasile di oggi come nella Berlino di Jesse Owens.

Il pianto liberatorio di Rafaela ha un significato speciale, nell’anno dei Trump tracotanti in America e dei migranti in Europa. E non è un problema di falsa coscienza, da libro Cuore. E’ un dato di fatto. Uomini e donne di colore sono protagonisti negli interstizi, nelle pause, delle nazioni. Con eccezioni importanti come Mandela e Obama.

Paola Egonu

 

 

Paola Egonu

 

 

 

Avanti allora, catapulta Egonu! Facci sognare! Senza guanti neri, sguardi bassi e pugni alzati, con lacrime composte e comportamenti infantili, gentili, puoi inviare anche tu il giusto messaggio delle Olimpiadi 2016.

 

Pubblicato su Il Giornale di Vicenza del 18 agosto 2016 (© Il Giornale di Vicenza)

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