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28 Luglio 2016 ~ 0 Comments

Abbiamo un piano?

Il Piano B è già pronto. Fa parte del nostro patrimonio storico e culturale, europeo, balcanico. Chiudere le frontiere, escludere tutti quelli che non appartengono alle comunità conosciute, con i reticolati e con le armi. E’ una risposta semplice, che appare realistica e rapidamente praticabile. Perché la lingua, il colore della pelle, l’abbigliamento, i comportamenti quotidiani sono facilmente riconoscibili. Sembra dunque facile tracciare un confine tra i “buoni” (noi) e i “cattivi” (gli altri).

In questo modo le comunità europee, i popoli dell’Europa, pensano di difendersi dall’instabilità e dalla confusione del mondo globale. E’ successo all’inizio del ‘900 e torna a succedere oggi. Questo tipo di strategia ha però controindicazioni importanti. Porta, quasi inevitabilmente, a uno scenario che l’Europa e i Balcani conoscono bene: la guerra. Un tipo di guerra che progredisce con spaventosa rapidità, proprio perché fa leva sulla mobilitazione spontanea e di milioni di persone, migliaia di comunità distinte, popoli, che in men che non si dica, sono in grado di erigere frontiere culturali, fisiche, militari.

Migranti

E’ una strategia semplice, il Piano B, ma comporta rischi elevati, poiché non esiste separazione etnica senza conflitto, soprattutto in territori nei quali l’integrazione è già andata avanti per anni. Lo sanno bene gli amici balcanici, che hanno affrontato questo tipo di strategia, nel dopo Tito. E cominciano a capirlo gli italiani che vivono a Londra, nel dopo Brexit.

L’Europa del dopoguerra è riuscita, faticosamente, a evitare il Piano B per molti anni. Ci ha dato settant’anni di crescita economica, benessere diffuso, pace, convergenza e integrazione Erasmus. Poi qualcosa si è rotto, subito dopo l’Euro. Hanno ripreso quota le logiche nazionali e i poteri nazionalisti (tedeschi, ma non solo) hanno neutralizzato le istituzioni sovranazionali, ridotto il ruolo del parlamento, potenziato la burocrazia distributiva.

Oggi che la stabilità è minacciata anche da un pericolo esterno, dagli attentati, dai movimenti islamisti, l’Europa si presenta debole, proprio perché “occupata” da rappresentanti di comunità nazionali che agitano il Piano B.

Serve invece una mobilitazione straordinaria dei cittadini e una ripresa del Piano A, una convinta integrazione federale dell’Europa, non più centrata sugli equilibri economico-finanziari degli Stati, ma sulla costruzione di un sistema comune di difesa, sicurezza, governo dell’immigrazione. E’ difficile, ma solo così ce la possiamo fare.

 

Pubblicato su Il Giornale di Vicenza del 27 luglio 2016 (© Il Giornale di Vicenza)

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